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Otto settembre. Una data da non dimenticare

Giorgio Vitali
 

«Le vere forze politiche sono al di fuori dei partiti, i quali cercano, più che possono, di rappresentarle e sfruttarle, ma riescono soprattutto a nasconderle. Queste forze sono la Chiesa, la Corona, la massoneria, l’alta finanza, le organizzazioni operaie, i grandi quotidiani e i politicanti di mestiere».

Giovanni Papini, 1913


Il tema dell’otto settembre è quanto mai attuale perchè rispecchia la realtà di un paese che finge di aver superato i traumi dell’ultimo conflitto, ma in realtà non è riuscito a liberare la propria collocazione internazionale, e quindi a ricreare una situazione di reale indipendenza proprio perchè la cultura generalizzata attuale si basa essenzialmente sul falso, nelle sue due espressioni fondamentali: quella democratica e quella postfascista, mentre la popolazione è stata dal dopoguerra ad oggi diseducata da una scuola asservita e complice del peggior potere di omologazione. È oltremodo significativo che a tutt’oggi persista un silenzio di tomba su quanto realmente accaduto in quel terribile biennio 1943- 1945, per quanto riguarda le violenze e le stragi provocate dalle truppe di occupazione straniere e dalla non meno feroce guerra civile, ma anche per quanto attiene al gioco che «nel» e «sul» nostro scacchiere tutti gli statisti a dimensione internazionale (fra questi, ovviamente Mussolini), hanno condotto sino ed anche dopo l’apparente fine, tanto che uno storico anglosassone ha potuto dichiarare che la storia della RSI è stata essenzialmente storia dello scontro fra servizi segreti di tutto il mondo.
La gran massa degli italiani non è mai stata messa in condizione di affrontare la sostanza intima dei reali rapporti di forza presenti allora come adesso sul nostro territorio, e quindi è stata sottoposta ad una continuativa iniezione di un infantilismo di cui cogliamo giornalmente gli aspetti più esilaranti. Il fatto che, attraverso i Media, chiunque possa diuturnamente sottoporre i concittadini a farneticazioni senza capo nè coda, ottenendo il consenso non sulla base di una qualche consapevolezza, ma esclusivamente sul fondamento di premesse ideologiche costruite, a loro volta, su notizie false o falsificate, ci dimostra quanto sia opportuna la nascita di un’autentica Classe Politica, della quale da tempo si attende la nascita.

Necessità di realismo politico
Senza una fondamentale capacità di affrontare i gravi problemi che si pongono alla nostra riflessione in questi tempi di trasformazioni epocali e di scontri senza possibilità di compromessi dell’ultima ora, non si fa politica, ma solo ragazzate. Giochi di ruolo.
Realismo politico non vuol dire che si debba navigare a vista senza un retroterra culturale e quindi tutto sommato senza un ”qualcosa” per cui lottare, significa la capacità di capire se quel “qualcosa” è autentico o se invece si tratta di una sovrastruttura ideologica instillata ad arte per irretire i gonzi. Su queste faccende abbiamo a lungo scritto, da molti decenni, e non riteniamo utile ritornare riproponendo concetti che si possono facilmente reperire nel nostro sito. Ci urge qui riferire di documenti che vengono gradualmente desecretati e che giungono alla nostra attenzione confermando quanto molto spesso noi abbiamo intuitivamente immaginato. Perchè la Storia vera è molto più semplice di quanto intendono farci credere i mistificatori ideologici ed i venditori di fumo delle religioni rivelate che hanno sempre qualcosa da insegnarci (o, meglio, imporci) per confermare il proprio potere. La Storia è fatta di gruppi che si lottano per la supremazia. Ed in questa logica ogni discorso è aperto e non c’è moralismo che conti. Come dimostra con molta chiarezza il quadro geopolitico attuale.

Servilismo o pigrizia mentale?
Sempre più raramente leggo articoli su Media “ufficiali”, scritti da giornalisti “accreditati”.
Si tratta di uno spettacolo penoso. Perchè non si riesce a capire fino a che punto una persona che ha raggiunto i massimi livelli retributivi lavorando per una testata e magari è già in pensione non riesca a porsi qualche domanda su quanto va scrivendo, non si chiede un guizzo di genialità, ma almeno un frammento di senso critico, di quella razionalità che poi questi signori sono pronti a sbandierare ai quattro venti quando si tratta di difendere le loro tesi, più o meno preconcette. Gli articoli scritti sulla data dell’11 settembre, da poco trascorsa, sono indicativi. Eppure non c’è bisogno di essere un ingegnere edile per rendersi conto che si tratta di un colossale falso. Tra l’altro è quanto va pensando una percentuale sempre più alta degli abitanti del Globo, i quali si avvalgono anche di una documentazione inoppugnabile, reperibile su Internet. Perchè questi giornalisti non si informano? Si tratta in realtà di una fase di “isteresi” culturale attraversata dalla nostra società nazionale e che conferma, se ce ne fosse bisogno, lo stato di «decadenza». Infatti, l’assenza d’interesse per un qualsiasi forma di documentazione e di aggiornamento, paghi del “posto” raggiunto, dimostra disprezzo per i concittadini e senso di ineluttabile putrefazione di tutto. Decadenza e morte. Suicidio collettivo.
Mi riferisco in particolare al fondo di Alberto Ronchey, sul “Corsera” del 10 settembre, che appare più infantile di un tema di scuola elementare. Queste stanche giaculatorie basate sul concetto (inventato perchè funzionale al potere statunitense ed a chi lo gestisce) di «scontro di civiltà» costringono ad apprezzare le invettive di Oriana Fallaci, dietro alle quali si intravvede chiaramente lo zampino dello stesso potere, ma che almeno sono sfuriate di un’isterica in cura chemioterapica, da tempo conosciuta per tale.
Un altro aspetto di melensaggine culturale è dimostrato da una sequenza di articoli che, riferiti all’otto settembre, lamentano il silenzio finora plumbeo su quanti, sfortunatamente pochi (gli atti di eroismo vanno sempre citati ed esaltati) ebbero il coraggio di affrontare i tedeschi in quei giorni di fughe e tradimenti. Anche in questi articoli non si nota alcun ampio respiro, e siamo a sessant’anni dalla fine del conflitto. Al contrario sembra che, di contro all‘esaltazione finora intaccabile della resistenza partigiana del nord, oggi si cerchi di rivalutare quella militare riferita al regno del sud, con gli occhi chiusi di fronte a qualsiasi altra manifestazione di fierezza nazionale, nozione del tutto estranea a questi giornalisti. Eppure dai documenti emerge in maniera sempre più consistente che moltissimi reparti italiani rifiutarono l’armistizio continuando a combattere contro gli alleati, e tutto ciò molto prima che i “balilla” scegliessero di combattere per l’«onore».
Anche per quanto riguarda la vituperata Marina, solo una parte si consegnò agli inglesi a Malta (con la nafta che i tedeschi avevano preso ai francesi). Ma anche questa realtà non figura, perchè gli uni devono esaltare mentre gli altri devono condannare. A causa di ragioni di autodifesa, spesso personalistiche, superate dai tempi. Senza dimenticare mai che la “fuga” del re e dei generali felloni avvenne col consenso dei tedeschi, ed anzi con l’assistenza e la scorta tedesca, senza la quale la lunga carovana di automobili non avrebbe potuto superare, fuori città, neppure un chilometro. Ne tratteremo in seguito.

Precedenti storici in altri paesi
La battaglia di Gettysburg, che avvenne tra l’1 ed il 3 luglio 1863, a circa 80 miglia da Washington e segnò la massima estensione dell‘avanzata dei Confederati, fu combattuta da Lee, grande mente militare della «prima guerra moderna», con lo scopo di arrivare ad un onorevole «cessate le armi», che garantisse la nascita di due Confederazioni di Stati dell’America del Nord. La situazione è identica a quella che sarà vissuta in Europa nel settembre 1943, cioè solo 80 anni dopo. Su questo argomento si sofferma Franco Bandini, lo storico recentemente deceduto, sul suo libro (postumo) dal titolo: “1943. L’anno delle tre tavolette” Iuculano Editore. [www.iuculanoeditore.it]
Altra data memorabile, ma mai ricordata: il 7 dicembre 1815 venne fucilato Michel Ney, il più celebre dei 26 marescialli di Napoleone. Con la sua fucilazione il potere borbonico riteneva, contro ogni logica ed anche contro la legge (il trattato di resa che la Francia aveva firmato con le potenze europee) di punire simbolicamente la fedeltà eroica alla Nazione impersonificata da colui che fu chiamato l’«Achilles Francais». Un paragone calzante con l’assassinio di Ettore Muti. I Borboni ed i loro servitori credevano anche di poter chiudere l’epoca di convulsioni iniziatesi con il 1789. Si sbagliavano. La conclusione avvenne invece solo nel 1853, il 7 dicembre, con una solenne inaugurazione della statua eretta a sua memoria nel luogo dell’esecuzione. Ed oggi la Francia nella venerazione dell’epopea napoleonica dimostra di aver realmente superato quei contrasti così intensamente vissuti. La stessa cosa non può dirsi dell’Italia, che vive ancora, sebbene sotto traccia, tutti i contrasti che portarono al 25 luglio prima ed all’otto settembre poi, malgrado l’apparente bonaccia che si respira in superficie, come dimostra un altro libro essenziale: Fasanella Pellegrino: “La guerra Civile”. BUR, maggio 2005.
E che ci costringe a ritornare sull’argomento per cercare di impostare una rinascita della politica.
 

Giorgio Vitali

(Continua)