Una questione di lana caprina,
ovvero: la kermesse delle banalità
Chi è più combattente?
Giorgio Vitali
Con cadenza fissa emergono da una cinquantina d’anni, nel nostro paese che
assomma, per strana coincidenza, alla sovrana indifferenza storica la “sindrome
del Martire”, alcune questioni che in qualsiasi altro paese del mondo sarebbero
(meglio: sono) seppellite da decenni. Si tratta di questioni superflue,
politicamente insignificanti perché riguardano una cerchia sempre più ristretta,
per ragioni anagrafiche, di individui; ma nel contempo dimostrano una
melensaggine di fondo che mostra inequivocabilmente quanto l’Italia di oggi sia
distante dalla concretezza imperiale del popolo romano, al quale facciamo tutti
abitualmente e stancamente riferimento. In questi giorni, infatti, forse per
ragioni elettorali, è tornato alla ribalta il tormentone del riconoscimento del
titolo di combattenti per coloro che hanno indossato la divisa di militare della
RSI, repubblica che, ricordiamolo, comprendeva alla sua nascita quasi l’intero
territorio nazionale e che aveva, come contraltare, un regno inesistente, tanto
che solo di recente è circolata la notizia, veramente amena, della farsesca
dichiarazione di guerra alla Germania ed al Giappone, alla quale ad armi ormai
deposte da tutti, non è mai seguito un regolare trattato di pace per la ragione
che tale “regno” non deteneva neppure l’autonomia sufficiente per dichiarare
guerra. Tenuti al guinzaglio come bambini scemi. iciamo questo in risposta ai
tanti che ancora oggi continuano con la fola del ”governo legittimo”.
Dunque, sempre per restare sul concreto, a distanza di oltre 50 anni alcuni
deputati alleanzini hanno chiesto al Parlamento il riconoscimento dell’acqua
calda. Cioè che i combattenti della RSI hanno combattuto. Fatto noto a tutti
coloro che vedono spezzoni televisivi dedicati alla storia nazionale, nei quali
possono assistere a sfilate di uomini e donne in divisa ed in armi. E ce n’erano
tanti, ma tanti! Solo l’idiozia degli esponenti politici di questo regime, forti
dell’ analfabetismo di parte dei concittadini, può fingere di ignorare un fatto
evidentissimo. E se alla fine del conflitto in Italia è successo qualcosa, che
ha coinvolto 800.000 edeschi ed oltre un milione di italiani, questo qualcosa,
su cui prima o poi verrà fatta luce, non riguarda certamente il Corpo Volontari
della Libertà e tantomeno lo sparuto gruppo dei cosiddetti resistenti.
Melensaggini politiche
Siamo abituati da tempo alle melensaggini di parlamentari missini, i quali
pensano di acquisire meriti o incantare giovani gonzi proponendo soluzioni
superficiali a problemi profondi. Su "Rinascita" di domenica 2 aprile un
importante articolo di Franco Morini, dedicato agli ultimi giorni del fascismo
repubblicano, illustra a sufficienza la continuità tra un certo atteggiamento di
un “certo” fascismo e le posizioni di volta in volta assunte dal MSI-AN durante
tutto l’arco della sua vita. La tecnica è banale. Si chiede, o si finge di
chiedere, ciò che si ha di già. Infatti nessuno storico serio potrebbe negare
che i combattenti della RSI abbiano combattuto. Provocando anche seri danni al
nemico. Ed allora c’è da domandarsi quale potrebbe essere la ragione che spinge
a chiedere al “nemico” per lo più “idiota” (nel senso letterale del termine), un
riconoscimento che esso non può dare per una serie di ragioni che qui si possono
elencare.
1) È idiota.
2) Non ha combattuto perché il suo apporto alla guerra degli anglo-americani è
stato insignificante e soprattutto privo di autonomia
3) Non esisteva uno Stato Italiano autonomo, capace di decisioni autonome, che
non fosse la RSI
4) Attualmente, gli esponenti politici del Regime “nato dalla resistenza” hanno
nei confronti degli Atlantici la stessa autonomia dei loro predecessori: i
Badoglio, i Cadorna, i Castellano, gli stessi Savoia, i Pertini e quant’ altri.
In conclusione, che significato possono rivestire queste iniziative alleanzine,
cadute peraltro nel vuoto? Uno solo. Quello di perpetuare la tecnica missista,
consistente nel proporre al proprio elettorato bolle d’acqua calda finalizzate a
carpire voti a persone disposte a credere ad una involuta spirale di questioni
apparentemente semplici e lineari. Ma questo è veramente un atto criminoso, far
passare quella che è stata una autentica guerra contro un nemico invasore e
strapotente, la guerra del sangue contro l’oro, come se fosse la rivendicazione
del pagamento di uno straordinario di impiegati al catasto.
E questo diventa il sottile marchingegno di legittimazione di ciò che non
potrebbe essere legittimato, come la Storia stessa è in condizione di
dimostrare. C’è un esempio recente che può servire alla bisogna. Nel 1813,
Napoleone, dopo la terribile esperienza della spedizione in Russia, si trova a
dover affrontare, anche sul suolo francese, gli eserciti coalizzati di Russia,
Prussia, Svezia, Inghilterra, Austria, a cui si uniscono i “fuorusciti”
francesi. Con un esercito improvvisato di coscritti, anche giovanissimi, vince a
Dresda in agosto. Il 16-19 ottobre perde a Lipsia (oltre 100.000 fra morti e
feriti), ma può ritirarsi ordinatamente. Il 1814 vede una serie di battaglie
offensive di Napoleone, che si ritira lentamente, fino all’ entrata degli
“Alleati” a Parigi il 31 marzo 1814 e conseguente abdicazione e fine dell’
Impero. Si tratta di una pagina di storia recente, ma non credo che ci sia
qualcuno che si ricordi dei francesi che militavano con la grande coalizione!
In compenso ci si ricorda sempre dei giovanissimi che si sono prodigati “con”
Napoleone contro i nemici della Francia. Tale è la situazione dell’Italia già
oggi. Non mi sembra infatti che, oltre alle manifestazioni ufficiali, alla
retorica di regime, sia rimasto nella memoria collettiva il ricordo di imprese
“liberatorie” a vario titolo. Mentre restano quelle immagini di soldati in
divisa che marciano inquadrati o che combattono contro gli alleati. Antifascismo
a parte, che può avere una sua legittimità politica, ma che è altra cosa.
Attribuzione abusiva della rappresentanza
Troppo spesso, attratti dal dibattito politico, per lo più apparente,
sull’attualità, come dimostrano i due schieramenti che si contendono in questi
giorni i seggi parlamentari, ma coinvolgente per ovvie ragioni, i più non si
avvedono di cadere nella trappola sottilmente tesa dal Sistema. E pochissimi
ricordano il famoso slogan: «votate per chi volete, ma votate». Perché il
consenso non viene dal voto al vincitore della competizione, ma dalla
partecipazione attiva ai riti del Sistema stesso, che può dimostrare, con la
percentuale dei votanti, che i cittadini stanno al gioco. Cioè accettano il
giogo. Accettano la formalità di accreditare come propri rappresentanti
individui precedentemente selezionati in quanto funzionali al Sistema. E
l’operazione riconoscimento del ruolo di combattente per i combattenti
socialrepubblicani si integra perfettamente nel Sistema. Infatti nessuno,
cosciente di quello che fa, potrebbe accettare la legittimazione delle personali
scelte esistenziali da un estraneo, per lo più nemico. Se l’accetta, vuol dire
che ne accetta l’autorità. Quella contro la quale si è combattuto. Ben diverso
sarebbe, è ovvio, il caso in cui si pretendesse un riconoscimento ufficiale
partendo da una conquistata e forte posizione di potere. Tra parentesi, il
nemico vero, gli Alleati, questo riconoscimento lo hanno dato già da molto tempo
in maniera del tutto esplicita.
Artificiosità del reducismo
Occorre a questo punto soffermarsi, anche per poco, sul ruolo del reducismo
nello svuotamento delle conflittualità politiche. Finché il reducismo si
stempera nei riti della memoria, la sua dannosità è limitata. Anzi, facendo
incontrare fra di loro i vecchi commilitoni, si cementa un ricordo collettivo
che rinsalda i vincoli nazionali. Si chiacchiera e si rendono più vividi i
ricordi, e vi nascono anche le epopee.
Diverso il caso del reducismo finalizzato ad affiancare posizioni politiche che
con l’esperienza di “quei” reduci hanno ben poco a che fare. A tutt’oggi abbiamo
un reducismo socialrepubblicano che viene apertamente utilizzato per fini
elettoralistici da ambienti alleanzini senza scrupoli. Così come non li ebbe mai
il MSI.
Non a caso la FNCRSI, pur essendo costituita da ex-combattenti e reduci di
guerra, di prigionia di guerra e di patrie galere, ha sempre aborrito il ruolo
reducistico, considerandolo inidoneo a qualsiasi azione politica. La FNCRSI non
ha mai fatto del reducismo la base del proprio associazionismo, considerando
sempre i propri aderenti come combattenti (non ex-combattenti) per la RSI. E
ciò, a maggior ragione, dopo la scissione della UNCRSI.
Giorgio Vitali
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