da "Rinascita", sabato 10, domenica 11 gennaio 2009
Le origini della pulizia
etnica in Palestina
Giovanna Canzano ha incontrato Mauro Manno,
ricercatore, storico ed esperto del Medio Oriente
Mauro Manno |
Le origini della pulizia
etnica in Palestina
Ebrei "üeber alles". Sin dal 1948 con la nascita dello stato di Israele
leggendo vari giornali vediamo la presenza ebraica in ogni settore della vita
sia culturale che economica: guida e saggi e "uomini giusti"?
Io non direi "Ebrei über alles", semmai "sionisti über Alles". Questa
distinzione oggi è fondamentale. Studio da anni l'ideologia politica del
sionismo per poter dire con certezza che la confusione su questo punto non è
solamente errata, storicamente e politicamente, ma anche ingiusta verso quei
tanti ebrei che sono stati le vittime del sionismo. Anche oggi ci sono ebrei che
sono vittime del sionismo. Io di queste nuove vittime ne conosco alcune
personalmente, e non mi sembra che siano "über alles", sono invece certamente
sotto il mirino dei sionisti. Vengono ostracizzate, perdono il posto
all'università come è successo a Norman Finkelstein, l'autore de "L'industria
dell'Olocausto" oppure vengono isolate e messe in condizioni di lasciare non
solo la cattedra universitaria ma anche i loro affetti e i loro amici in Israele
ed emigrare in occidente, come è successo a Ilan Pappe, l'autore di "La pulizia
etnica della Palestina". Questi ebrei soffrono perché hanno il coraggio di
proclamarsi antisionisti. Questo atto di rivolta contro il sionismo non
costituisce solo il ripudio di quell'ideologia politica ma è anche il rigetto
delle conseguenze storiche che la sua vittoria ha avuto, vale a dire, lo stato
ebraico, Israele come stato ebraico. Gli antisionisti vogliono la fine dello
stato d'Israele così come è stato edificato dai sionisti e si battono per la sua
sostituzione con uno stato unico e democratico per tutti gli ebrei e tutti i
palestinesi che si trovano all'interno dell'intera Palestina, cioè all'interno
di Israele e dei territori occupati, Gaza compresa. Ma ciò non basta; essi
sostengono anche il diritto al ritorno dei profughi cacciati nel 1948, come
d'altronde sancisce la risoluzione dell'ONU n. 194, votata esattamente 60 anni
fa (11 dicembre 1948) e mai applicata. Ma attenzione! Chi conosce la sorte di
queste nuove vittime del sionismo, cioè degli ebrei antisionisti, non deve
dimenticare la sorte ben più tragica toccata agli ebrei assimilazionisti durante
il II conflitto mondiale. Anch'essi erano contrari al sionismo, anch'essi sono
stati le vittime del sionismo. Questa è la parte della loro storia che i
sionisti vogliono assolutamente tenere nascosta. La loro lotta contro gli ebrei
assimilazionisti, condotta in collaborazione con i nazisti e gli antisemiti.
Altro che "uomini giusti", i sionisti sono gli uomini politici più ingiusti che
ci siano mai stati, verso gli altri ebrei e verso i non-ebrei.
Gli ebrei assimilazionisti?
Gli ebrei assimilazionisti sono quegli ebrei che vogliono assimilarsi, fondersi
nella popolazione del Paese dove sono nati. Per la legge rabbinica, l'halachà, è
ebreo chi è figlio o figlia di madre ebrea o chi si converte al giudaismo.
L'ebraicità dunque è trasmessa attraverso il sangue, dalla madre al figlio o
alla figlia. Per le altre religioni non è così: il cristianesimo di un cattolico
o l'islam di un musulmano non sono trasmessi attraverso il sangue. Per
conservare questa peculiarità ebraica e per conservare l'ebraismo in generale, è
fondamentale che nella famiglia non ci siano matrimoni misti, con non-ebrei. Se
un ebreo (non nato in Israele) ritiene che il fatto di essere figlio di madre
ebrea non lo faccia ebreo, se rigetta la religione ebraica, se si considera un
essere umano libero di scegliere un'altra religione o nessuna religione, se
vuole vivere senza il peso del passato ebraico della sua famiglia, allora costui
è un'assimilazionista. Vuole uscire dal chiuso mondo ebraico ed entrare nel
mondo più aperto e libero dei non-ebrei. Costui quindi adotterà totalmente la
cultura, la lingua, il modo di vita, la cucina, la tradizione, ecc. del paese in
cui vive. Ne adotterà anche il destino. Non si sentirà obbligato a sposare una
donna ebrea per cui i suoi figli non saranno più ebrei secondo l'halachà. Se
educherà i suoi figli nello spirito in cui egli stesso è vissuto e se i suoi
figli faranno anch'essi dei matrimoni misti, e così i figli dei suoi figli,
allora, dopo poche generazioni i suoi discendenti non saranno più ebrei, saranno
italiani, tedeschi, francesi ecc a tutti gli effetti. Il sionista Jabotinsky,
che ovviamente aborriva l'assimilazione, così diceva: «Per giungere ad
un'assimilazione vera... (l'ebreo) deve produrre attraverso una lunga serie di
matrimoni misti, in un periodo di varie decine di anni, un nipote-di un
nipote-di un nipote nelle cui vene sia rimasta soltanto una minima traccia di
sangue ebraico, perché solo quel nipote-di un nipote-di un nipote avrà la
conformazione spirituale di un vero francese o di un vero tedesco». Il
matrimonio misto è alla base dell'assimilazione. Prima del II conflitto
mondiale, i matrimoni misti erano in forte progressione; per esempio, nel 1929,
in Germania, essi costituivano il 59% dei matrimoni; per contro i matrimoni
puri, con entrambi i coniugi ebrei erano una minoranza, il 41%. Ciò spaventava i
sionisti, che consideravano gli assimilazionisti alla stregua dei traditori.
Quando i nazisti salirono al potere, le organizzazioni sioniste internazionali
si affrettarono a collaborare con loro e conclusero dei patti per far emigrare
solo i sionisti fuori dalla Germania (recuperando i loro averi) e avviarli nelle
colonie palestinesi. Gli ebrei assimilazionisti non li interessavano e così li
condannarono alla loro sorte. I sionisti non fecero nulla perché gli
assimilasizionisti tedeschi potessero emigrare in America o in altri stati
occidentali, anzi bloccarono tutti i tentativi in questo senso. Più tardi,
durante la guerra, estesero questa politica a livello europeo. Erano in corso
eccidi e massacri di ebrei e loro trattavano per salvare solo i sionisti e
quelli che volevano emigrare in Palestina, gli altri potevano morire. L'esempio
di Rezso Kasztner, è illuminante. Questo sionista ungherese, nel 1944,
contrabbandò la salvezza della sua la famiglia e degli aderenti alle varie
organizzazioni sioniste ungheresi -1600 persone in o tutto- in cambio della sua
collaborazione e quella dei suoi seguaci per facilitare la deportazione ad
Auschwitz di centinaia di migliaia di ebrei assimilazionisti. Questa politica ha
facilitato la quasi estinzione degli ebrei non-sionisti, quelli sulla via
dell'assimilazione. I sionisti sono corresponsabili, con i nazisti di questo
crimine. Ecco la ragione per cui oggi la maggior parte degli la ebrei della
diaspora si dichiarano sionisti e praticano i matrimoni tra soli ebrei.
Cioè una pulizia etnica tra gli ebrei e condotta dagli ebrei?
Serberei il termine "pulizia etnica" a quello che i sionisti hanno fatto ai
palestinesi nel 1948. Essi hanno ripulito la Palestina dai suoi antichi
abitanti, come ha minuziosamente mostrato Ilan Pappe nel suo recente libro con
quel titolo. Direi invece che c'è stata la volontà dei sionisti di liberarsi
degli ebrei non-sionisti. Io ho parlato di corresponsabilità dei sionisti con i
nazisti. Sono stati i nazisti a portare la morte mentre i sionisti hanno
collaborato a vari livelli con i carnefici. Durante il II conflitto mondiale, i
sionisti, in alcuni casi, sono giunti ad uccidere direttamente, il più delle
volte, hanno denunciato altri ebrei, hanno spesso gestito i campi di
concentramento, hanno convinto gli assimilazionisti a starsene buoni, a non
ribellarsi, il tutto in cambio della salvezza dei loro seguaci sionisti, dei
loro familiari e degli amici. Per quel che riguarda i loro seguaci, bisogna
specificare che i capi sionisti non si sono nemmeno impegnati a salvarli tutti,
ma solo i più giovani, cioè quelli che potevano combattere con le armi (in
previsione della lotta contro gli inglesi e i palestinesi), cioè quelli che
potevano lavorare per lo sviluppo delle colonie, quelli che potevano fare figli.
I vecchi e i bambini sarebbero stati di peso. Nel 1937, Chaim Weizmann, futuro
presidente di Israele, davanti alla Commissione Peel a Londra dichiarò con
freddezza: «voglio salvare... dei giovani (per la Palestina). I vecchi
passeranno. Sopporteranno il loro destino o non lo faranno. Sono polvere,
polvere economica e morale in un mondo crudele... Solo il ramo giovane
sopravviverà. Dovranno accettarlo». E qui si tratta di sionisti. Ben Gurion,
parlando nel '38, dei bambini (figli di sionisti e non-sionisti), disse: «Se
sapessi che è possibile salvare tutti i bambini di Germania portandoli in
Inghilterra e solo metà di essi portandoli in Eretz Israel, allora opterei per
la seconda alternativa». Ben Gurion sapeva che se gli assimilazionisti e le
persone di buona volontà avessero dovuto scegliere tra il salvare gli ebrei dai
campi di concentramento e il sionismo, la pietà avrebbe avuto la meglio e tutta
l'energia della gente sarebbe stata canalizzata verso il soccorso degli ebrei di
vari Paesi; allora "il sionismo" sarebbe stato cancellato dall'ordine del giorno
non solo presso l'opinione pubblica mondiale, in Gran Bretagna e negli Stati
Uniti, ma anche in ogni altro luogo nell'opinione pubblica ebraica. Per i
sionisti ciò non doveva accadere ed essi fecero di tutto perché non accadesse.
Pensi che quando qualcuno disse a Yitzhak Gruenbaum -capo del Comitato di
Soccorso (!) dell'Agenzia Ebraica in Palestina- nel 1943 quando gli eccidi erano
cominciati, «Non costruite nuove colonie (...) sborsate il denaro per salvare
gli ebrei della diaspora», egli rispose: «Il sionismo passa sopra ogni altra
cosa». In un'altra occasione, sempre nel 1943, pronunciò la frase: «Una mucca in
Palestina vale più di tutti gli ebrei in Polonia». E così i sionisti, alleandosi
con i nazisti, si sono salvati, mentre i non-sionisti sono stati eliminati
proprio in grazia di quella alleanza. Ed oggi i sionisti dominano su tutti gli
ebrei e influenzano pesantemente i governi occidentali. Determinano la politica
estera americana (vedi il libro di Mearsheimer e Walt). Per questo Israele è
intoccabile e può fare tutto quello che vuole e non solo ai palestinesi... Ma
qui tocchiamo il problema della lobby sionista.
Lobby sionista?
Per capirci, prendiamo l'esempio della lobby sionista in America, la lobby
sionista più forte d'Occidente. Nella corsa dei due candidati americani alla
Casa Bianca, tutti hanno potuto vedere in TV sia Obama sia il suo vice, Biden,
sia i due perdenti McCain e la Palin correre a genuflettersi davanti
all'organizzazione più potente della lobby, l'AIPAC. Questo era stato previsto
da Mearsheimer e Walt e si è avverato puntualmente. I due candidati sono stati
costretti a sottomettersi ad un accurato esame davanti ai giudici della lobby
riguardo alle loro proposte politiche riguardanti Israele e ai posti di comando
che essi erano disposti ad accordare a sionisti (ebrei o non ebrei) nella loro
futura amministrazione. Tutti ricorderanno come Obama sia riuscito a spiazzare
il rivale proclamando che egli appoggia la linea di «Gerusalemme unica e
indivisibile capitale dello Stato ebraico». McCain non si era spinto a tanto.
Questa linea è ufficialmente condannata dalla comunità internazionale sulla base
di una serie di risoluzioni dell'ONU. Israele prosegue nell'espulsione dei
palestinesi (in gran parte di fede cristiana) dalla Città Santa e l'Occidente fa
finta di niente pur mantenendo la posizione ufficiale dell'ONU. Adesso Obama,
l'«uomo della pace» si è spinto dalla parte di Israele come nessun presidente lo
aveva mai fatto. All'inizio sembrava che l'appoggio determinante della lobby
andasse per McCain, poi le cose sono cambiate. Bisogna ricordare che il vice di
Obama, Joe Biden, appena scelto, si è dichiarato «un ardente sionista» e non mi
sorprenderebbe se non sia stato imposto a Obama proprio dalla Lobby. Poi Obama è
riuscito a dare garanzie sicure e i favori (e i denari) della lobby sono
affluiti dalla sua parte. Un colpo formidabile per i sionisti. Adesso la lobby
avrà una politica pro Israele e pro lobby portata avanti da un presidente
popolare e non da una controfigura di Bush. I politici occidentali potranno fare
anche loro una politica pro israeliana e pro americana (che è lo stesso) senza
troppo scontrarsi con l'opinione pubblica. Il movimento pacifista è
completamente spiazzato. Certo molto presto Obama distruggerà la sua immagine di
uomo nuovo, diventando come la Rice o Powell, il nero di turno che serve gli
interessi della lobby; ma alla lobby questo cosa importa, dal momento che
ottiene ciò che vuole? In realtà l'immagine di Obama è già intaccata. La scelta
della Clinton agli esteri, la scelta di Rahm Emanuel (il cui padre ha dichiarato
di odiare gli arabi e di essere sicuro che il figlio agirà a favore di Israele)
sono solo i primi segni. Un'altra cosa è riuscita ad ottenere la lobby. Dopo lo
strapotere che Bush aveva accordato ad un'altra ala della lobby, agli screditati
neocons (quasi tutti ebrei), gli strateghi sionisti hanno pensato di far fare la
stessa politica di costoro a dei non-ebrei, ma di sicura fede sionista. Così
dopo Biden, ecco ricomparire la Clinton (con la quale Obama all'inizio si era
scontrato sulla politica estera e oggi gliel'affida). Hillary è un'altra
sionista e si porta al Dipartimento di Stato la squadra ebraica del marito: la
Madeleine Albright, Holbrooke, Dennis Ross, ecc. Stessa politica dei neocons
ebraici ma portata avanti ufficialmente da non-ebrei. I sionisti non-ebrei sono
per fortuna pochi ma sono i peggiori traditori del loro paese e mandano a morire
giovani americani in guerre per rafforzare Israele, come è successo in Iraq.
Anche noi europei abbiamo la nostra lobby sionista comunque. Non ci facciamo
illusioni.
Anche in Europa c'è la lobby sionista?
La lobby sionista si trova ovunque nel mondo dove ci sono sionisti. Se
quest'ultimi fossero tutti in Israele le cose sarebbero più semplici ma c'è la
diaspora e tra gli ebrei della diaspora ci sono molti sionisti. Già era nel
programma del primo congresso sionista (1897) che i sionisti della diaspora
dovessero compiere i passi necessari «per ottenere dai diversi governi il
consenso necessario alla realizzazione degli scopi del sionismo». Ed è quello
che essi sono riusciti a fare. Oggi, dopo la nascita di Israele, la lobby
sionista americana e le varie lobby nazionali servono sempre gli «scopi del
sionismo», che però sono diversi rispetto a quando bisognava fondare lo stato
ebraico. Dopo 60 dalla sua fondazione, Israele non ha fondamenti sicuri. La sua
esistenza come «stato ebraico» è messa in discussione ed esso si mantiene solo
con la forza. Essendo uno stato etnico che occupa terre altrui e opprime i
palestinesi, senza rispettare la legalità internazionale, esso sa bene che è uno
stato illegittimo. La lobby ha il compito di "legittimarlo" almeno in Occidente.
L'Europa, almeno formalmente, si è impegnata in Medio Oriente con una posizione
di equilibrio tra arabi e israeliani. Abbiamo grandi interessi nel mondo arabo.
Nel 2004 ci sono stati i primi cambiamenti. II Consiglio dell'UE approvò il
"Piano d'Azione UE-Israele" e nonostante la pagella sconvolgente di Israele nel
campo dei diritti umani, il Piano dichiarava che «l'UE e Israele condividono gli
stessi valori di democrazia, rispetto di diritti umani e sovranità della legge e
delle libertà fondamentali». Il che non è assolutamente vero e sono pronto a
dimostrarlo. Comunque il Piano fa anche peggio: dà la possibilità a Israele di
«prendere parte in aspetti determinanti delle politiche dell'UE». Diventeremo
una colonia sionista. Dal 2006 la posizione dell'Europa cambiò ulteriormente.
Prima ci fu un ammorbidimento delle critiche a Israele. Ciò avvenne su pressione
di uno speciale "Comitato Ebraico Americano per L'Europa". In esso vi è L'Aipac,
l'ADL (lega antidiffamazione), l'American Jewish Congress, che si è distinto in
modo particolare. A rispondere positivamente da parte dell'UE fu prima Prodi,
poi la Ferrero-Waldner, infine Barroso. Prima del 2000 l'UE pretendeva che
Israele ripagasse i danni alle infrastrutture costruite nei territori occupati
coi denari europei, dopo, la Ferrero-Waldner e Barroso non pretendono più
niente. Oggi esiste nel Parlamento europeo una struttura di circa 200
parlamentari "Amici europei di Israele" che lavora per Tel Aviv. Questo sforzo è
sostenuto da uomini d'affari ebrei di tutto il continente nonché da ebrei eletti
nei vari parlamenti, come, in Italia, la Fiamma Nierenstein e l'avvocato
Alessandro Ruben. Infine, con la presidenza UE alla Francia dell'ebreo sionista
(lo ha dichiarato lui) Nicolas Sarkozy e la costituzione dell'Unione
mediterranea, il sionismo è ormai molto vicino ad ottenere l'accettazione e la
legittimazione di Israele nel mondo arabo, tramite l'Europa. Attenzione, questa
non è una politica di pace, come dicono i governanti europei. Se la
legittimazione araba si realizzerà, Israele avrà mano libera per una politica
militare, contro l'Iran, contro Hizbollah e i palestinesi, con il bene placido
dei paesi arabi. In questo quadro lo stato palestinese sarà una serie di piccoli
bantustans completamente circondati, come Gaza. Solo la crisi economica
dell'Occidente può fermare il conflitto. Se la crisi economica farà saltare il
potere traballante dei governanti arabi corrotti, assisteremo ad una ripresa del
terrorismo, delle rivolte, delle rivoluzioni dei popoli arabi frustrati.
Israele non è uno stato democratico?
No. Non lo è. È uno stato etnocratico. Uno stato per soli ebrei. La democrazia
nello stato ebraico vale solo per gli ebrei. Per i non-ebrei è una farsa.
Immaginiamo per un attimo che in un Paese multietnico in cui vi è
un'amministrazione coloniale, un partito che rappresenta una particolare etnia
ha in programma, dopo la fine del colonialismo, di costituire uno stato
democratico su tutto il Paese ma cacciando le altre etnie. Possiamo dire che il
programma di questo partito è democratico? Per me è un programma razzista basato
sulla pulizia etnica. Adesso immaginiamo che, finita la fase del colonialismo, a
questo partito venga concesso di costituire il suo stato ma solo su una parte
del territorio del paese e a condizione che anche su quel territorio non ci
siano espulsioni etniche. Succede invece che lo stato viene fondato subito dopo
l'espulsione della maggioranza degli abitanti da parte della minoranza, secondo
il suo programma razzista iniziale. È uno stato democratico ma la democrazia
doveva coinvolgere tutta la popolazione e non solo la minoranza che ha
effettuato la pulizia etnica. Adesso succede che le istituzioni che
rappresentano la legalità internazionale (per esempio l'ONU) chiedano a questo
stato etnico di reintegrare gli espulsi e accordare loro pari diritti
democratici. In risposta questo stato "democratico" (per la sola etnia che esso
rappresenta) si rifiuta di farlo, anzi persevera nel suo programma iniziale di
volere conquistare tutto il territorio del paese e di colonizzarlo con gente
della sua etnia fatta affluire da altri paesi. Questa nuova espansione e questa
nuova pulizia etnica non avvengono in modo fortuito ma sono sancite nei
documenti fondanti dello stato "democratico".
Per esempio in essi vi si stabilisce che tutto il territorio del Paese
appartiene a tutti coloro che appartengono all'etnia giusta ovunque essi si
trovino (e magari da migliaia di anni) e non appartenga invece agli espulsi che
vi vivevano prima della fondazione dello stato etnico. È ancora uno stato
democratico? Non basta. Immaginiamo che in questo stato etnico è sopravvissuta
una piccola minoranza dell'etnia sbagliata. Una minoranza in crescita
demografica che costituisce circa un quarto della popolazione totale. Queste
persone vengono trattate come cittadini di secondo grado, nelle attività
economiche, nei tribunali, nella vita quotidiana, ecc., dove devono subire mille
discriminazioni. La discriminazione più grave riguarda il possesso della terra.
Lo stato si è assicurato, con un'altra legge fondante della "democrazia" etnica,
che il 93% della terra del paese resti nelle mani dell'etnia giusta. La vendita
di proprietà terriere (e immobiliari costruite su di esse) deve avvenire solo
tra persone di questa etnia. È però possibile acquistare nuove terre di quel 7%
rimasto all'etnia minoritaria, in modo da espander le proprietà dell'etnia
giusta. È ancora uno stato democratico? Di fronte a queste discriminazioni lo
stato etnico concede un limitato diritto di voto e un limitato diritto di
critica alla minoranza discriminata. Bastano questi diritti politici di fronte
alle mille discriminazioni a far sì che lo stato sia democratico? Già sento i
difensori di Israele, perché è di lui che stiamo parlando, insorgere e
protestare contro la mia ultima affermazione sui limitati diritti politici della
minoranza palestinese. Invece è proprio così. Si pensi, per esempio al fatto che
in Israele è proibito mettere in discussione il carattere ebraico dello stato. È
proibito fondare partiti che hanno come programma uno stato diverso, non etnico,
ma di tutti i cittadini. È proibito lottare per l'applicazione della risoluzione
194 dell'ONU che sancisce il diritto al ritorno dei palestinesi espulsi. È
proibito lottare per abolire la legge fondante dello stato che dice che la
Palestina appartiene a tutti gli ebrei del mondo e che in qualunque momento uno
di essi può andare in Palestina a occupare una proprietà che l'esercito dello
stato ebraico avrà provveduto a togliere a qualche palestinese dei territori
occupati. È ancora uno Stato democratico? Rovesciamo la situazione: immaginiamo
per un attimo che lo Stato italiano si proclami stato "cattolico" e stabilisca
che i cittadini italiani ebrei, o protestanti o altri ancora non appartengano a
questo stato, li discrimini direttamente, proibisca loro di acquistare terre o
proprietà immobiliari da cittadini cattolici. D'altra parte stabilisca che i
cittadini cattolici (qualsiasi cosa ciò possa oggi significare) non possano
vendere proprietà a ebrei, protestanti, ecc, in modo che la terra d'Italia si
concentri sempre più in mani cattoliche. Ai non cattolici viene lasciato il
diritto di voto ma in modo tale che esso non pregiudichi il carattere
"cattolico" dello stato. L'Italia potrebbe ancora chiamarsi stato democratico? E
ricordo ai difensori di Israele che gli ebrei in Italia non sono un quarto della
popolazione come i palestinesi in Israele. Ricordo loro anche che andando avanti
nel modo in cui si sta andando avanti c'è il rischio che oltre che uno stato
etnocratico Israele, diventi anche uno stato teocratico, visto il peso crescente
dei religiosi nella politica israeliana.
Quale è la spiegazione del furibondo attacco israeliano contro Gaza?
Se guardiamo a quello che sta accadendo adesso a Gaza nel quadro storico che in
qualche modo abbiamo tracciato in questa intervista dobbiamo concludere che si
tratta di un ulteriore passo in avanti della pulizia etnica dei palestinesi. Se
Israele avesse voluto un compromesso con i palestinesi su uno stato palestinese,
ebbene le occasioni non sono mancate. I sostenitori di Israele affermano che
furono i palestinesi a non accettare la divisione della Palestina nel 1948. Ma
chi l'avrebbe accettata? Quale nazione avrebbe accettato la divisione del
proprio territorio imposta dall'alto fosse anche dall'ONU (che allora,
ricordiamolo, era costituito da un quarto degli stati attuali ed era sotto il
controllo di USA e Unione Sovietica)? Se poi l'ONU avesse imposto anche
l'applicazione della risoluzione 194 che chiedeva a Israele di permettere ai
palestinesi cacciati con la forza di poter tornare, allora le cose sarebbero
andate molto diversamente. Ma Israele rifiutò la risoluzione, sicuro
dell'appoggio USA, il quale era già sotto l'influenza della Lobby sionista
americana. Fece molto di più, assassinò il mediatore ONU Folke Bernadotte che
stava elaborando una nuova politica. Israele voleva uno Stato etnicamente puro e
niente altro. Questo è il sionismo. Dopo la guerra del 1967, Israele non accettò
neanche la risoluzione 242 che imponeva il ritiro israeliano dai territori
occupati. Anzi, contro ogni legge internazionale, cominciò a colonizzarli.
Israele non accettò nessun compromesso; durante le trattative di Oslo e continuò
ancora la colonizzazione. Nel 2002 gli stati arabi offrirono il riconoscimento
di Israele e la pace in cambio del ritiro di Israele entro i confini del 1967,
ma Israele rifiutò, iniziò la costruzione del muro che ingloba vasti territori
occupati dai quali la popolazione palestinese viene lentamente espulsa, e
continua sempre con la costruzioni di colonie e con il soffocamento dei
palestinesi di Gerusalemme Est. Quando nel 2006, Hamas vinse le elezioni
democratiche e formò un suo governo su tutti i palestinesi di Cisgiordania, Gaza
e Gerusalemme Est, Israele non lo riconobbe e assieme agli Usa e con la
complicità dell'UE, iniziò una politica di divisione dei palestinesi. A questa
politica si prestò il corrotto Abu Mazen. Per salvaguardare l'unità, Hamas
accettò un compromesso con lui e con quella parte di Fatah che lo sostiene;
formò con lui, un governo di unità nazionale. Istigato da Usa e da Israele, Abu
Mazen, convinto anche che il nuovo governo era nato per la debolezza di Hamas,
organizzò un complotto a Gaza per evincere il potere militare del partito
rivale. Ma fallì e furono i seguaci di Abu Mazen ad essere cacciati da Gaza.
Allora, Abu Mazen (autodichiaratosi presidente "a divinis" dei palestinesi)
sciolse il governo formandone uno con i suoi fedelissimi e lasciò che Israele
arrestasse ministri, deputati, dirigenti di Hamas in tutta la Cisgiordania. Si
impegnò in trattative per un accordo di Pace con Israele (Annapolis). Queste
ovviamente non hanno portato a niente, perché Israele non cede su niente e vuole
gente come Abu Mazen che si presta alla finzione eterna delle trattative e
intanto avanza con la colonizzazione e la pulizia etnica. Per Israele quindi
adesso è essenziale eliminare Hamas, uccidendone o arrestandone tutti i
dirigenti. Questo è il senso dell'attacco criminale contro Gaza. Conquistarla e
darla a Abu Mazen con il quale continuare la finzione delle trattative. Se Hamas
resiste ed Israele è costretto a cessare l'attacco e ritirarsi, sarà Abu Mazen
il primo sconfitto, ma fallirà tutta la strategia di Israele e degli americani.
intervista di Giovanna Canzano
BIOGRAFIA di Mauro Manno
Nato all'estero 57 anni fa da una
famiglia proletaria emigrata in una regione mineraria del Nord
Europa, Mauro Manno ora vive a Napoli dove, dopo gli studi liceali
classici all'estero, ha frequentato l'Università Orientale di Napoli
e si è laureato in lingue dell'Europa occidentale. I suoi studi gli
hanno permesso di approfondire questioni e problematiche di storia e
geopolitica. Il suo interesse è soprattutto rivolto al Vicino e
Medio Oriente, al conflitto Israele-Palestina, all'islamismo
politico e al sionismo.
Tra le sue pubblicazioni, "La natura del sionismo" è uno studio
sulle convergenze storiche ed ideologiche tra sionisti da una parte
e antisemiti e nazisti dall'altra. Ha fatto parte del gruppo di
docenti del Master "Enrico Mattei" per il Medio Oriente
dell'Università di Teramo ed è intervenuto, con un'argomentazione
sulla lobby sionista in America alla Conferenza sul Medio Oriente
(17-19 aprile 2007) che tante polemiche ha scatenato. È membro
fondatore, assieme al professor Claudio Moffa, dell'Istituto Enrico
Mattei di alti studi sul Medio Oriente (IEMASMO), con sede a Roma,
un Istituto di ricerca privato che opera con spirito di amicizia con
tutti i popoli della regione ma sempre in piena autonomia da
qualsiasi influenza di stati o governi
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