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da "Rinascita", sabato 10, domenica 11 gennaio 2009

 

Le origini della pulizia etnica in Palestina

 

Giovanna Canzano ha incontrato Mauro Manno,

ricercatore, storico ed esperto del Medio Oriente

   

Mauro Manno


Le origini della pulizia etnica in Palestina

 

Ebrei "üeber alles". Sin dal 1948 con la nascita dello stato di Israele leggendo vari giornali vediamo la presenza ebraica in ogni settore della vita sia culturale che economica: guida e saggi e "uomini giusti"?
Io non direi "Ebrei über alles", semmai "sionisti über Alles". Questa distinzione oggi è fondamentale. Studio da anni l'ideologia politica del sionismo per poter dire con certezza che la confusione su questo punto non è solamente errata, storicamente e politicamente, ma anche ingiusta verso quei tanti ebrei che sono stati le vittime del sionismo. Anche oggi ci sono ebrei che sono vittime del sionismo. Io di queste nuove vittime ne conosco alcune personalmente, e non mi sembra che siano "über alles", sono invece certamente sotto il mirino dei sionisti. Vengono ostracizzate, perdono il posto all'università come è successo a Norman Finkelstein, l'autore de "L'industria dell'Olocausto" oppure vengono isolate e messe in condizioni di lasciare non solo la cattedra universitaria ma anche i loro affetti e i loro amici in Israele ed emigrare in occidente, come è successo a Ilan Pappe, l'autore di "La pulizia etnica della Palestina". Questi ebrei soffrono perché hanno il coraggio di proclamarsi antisionisti. Questo atto di rivolta contro il sionismo non costituisce solo il ripudio di quell'ideologia politica ma è anche il rigetto delle conseguenze storiche che la sua vittoria ha avuto, vale a dire, lo stato ebraico, Israele come stato ebraico. Gli antisionisti vogliono la fine dello stato d'Israele così come è stato edificato dai sionisti e si battono per la sua sostituzione con uno stato unico e democratico per tutti gli ebrei e tutti i palestinesi che si trovano all'interno dell'intera Palestina, cioè all'interno di Israele e dei territori occupati, Gaza compresa. Ma ciò non basta; essi sostengono anche il diritto al ritorno dei profughi cacciati nel 1948, come d'altronde sancisce la risoluzione dell'ONU n. 194, votata esattamente 60 anni fa (11 dicembre 1948) e mai applicata. Ma attenzione! Chi conosce la sorte di queste nuove vittime del sionismo, cioè degli ebrei antisionisti, non deve dimenticare la sorte ben più tragica toccata agli ebrei assimilazionisti durante il II conflitto mondiale. Anch'essi erano contrari al sionismo, anch'essi sono stati le vittime del sionismo. Questa è la parte della loro storia che i sionisti vogliono assolutamente tenere nascosta. La loro lotta contro gli ebrei assimilazionisti, condotta in collaborazione con i nazisti e gli antisemiti. Altro che "uomini giusti", i sionisti sono gli uomini politici più ingiusti che ci siano mai stati, verso gli altri ebrei e verso i non-ebrei.

Gli ebrei assimilazionisti?
Gli ebrei assimilazionisti sono quegli ebrei che vogliono assimilarsi, fondersi nella popolazione del Paese dove sono nati. Per la legge rabbinica, l'halachà, è ebreo chi è figlio o figlia di madre ebrea o chi si converte al giudaismo. L'ebraicità dunque è trasmessa attraverso il sangue, dalla madre al figlio o alla figlia. Per le altre religioni non è così: il cristianesimo di un cattolico o l'islam di un musulmano non sono trasmessi attraverso il sangue. Per conservare questa peculiarità ebraica e per conservare l'ebraismo in generale, è fondamentale che nella famiglia non ci siano matrimoni misti, con non-ebrei. Se un ebreo (non nato in Israele) ritiene che il fatto di essere figlio di madre ebrea non lo faccia ebreo, se rigetta la religione ebraica, se si considera un essere umano libero di scegliere un'altra religione o nessuna religione, se vuole vivere senza il peso del passato ebraico della sua famiglia, allora costui è un'assimilazionista. Vuole uscire dal chiuso mondo ebraico ed entrare nel mondo più aperto e libero dei non-ebrei. Costui quindi adotterà totalmente la cultura, la lingua, il modo di vita, la cucina, la tradizione, ecc. del paese in cui vive. Ne adotterà anche il destino. Non si sentirà obbligato a sposare una donna ebrea per cui i suoi figli non saranno più ebrei secondo l'halachà. Se educherà i suoi figli nello spirito in cui egli stesso è vissuto e se i suoi figli faranno anch'essi dei matrimoni misti, e così i figli dei suoi figli, allora, dopo poche generazioni i suoi discendenti non saranno più ebrei, saranno italiani, tedeschi, francesi ecc a tutti gli effetti. Il sionista Jabotinsky, che ovviamente aborriva l'assimilazione, così diceva: «Per giungere ad un'assimilazione vera... (l'ebreo) deve produrre attraverso una lunga serie di matrimoni misti, in un periodo di varie decine di anni, un nipote-di un nipote-di un nipote nelle cui vene sia rimasta soltanto una minima traccia di sangue ebraico, perché solo quel nipote-di un nipote-di un nipote avrà la conformazione spirituale di un vero francese o di un vero tedesco». Il matrimonio misto è alla base dell'assimilazione. Prima del II conflitto mondiale, i matrimoni misti erano in forte progressione; per esempio, nel 1929, in Germania, essi costituivano il 59% dei matrimoni; per contro i matrimoni puri, con entrambi i coniugi ebrei erano una minoranza, il 41%. Ciò spaventava i sionisti, che consideravano gli assimilazionisti alla stregua dei traditori. Quando i nazisti salirono al potere, le organizzazioni sioniste internazionali si affrettarono a collaborare con loro e conclusero dei patti per far emigrare solo i sionisti fuori dalla Germania (recuperando i loro averi) e avviarli nelle colonie palestinesi. Gli ebrei assimilazionisti non li interessavano e così li condannarono alla loro sorte. I sionisti non fecero nulla perché gli assimilasizionisti tedeschi potessero emigrare in America o in altri stati occidentali, anzi bloccarono tutti i tentativi in questo senso. Più tardi, durante la guerra, estesero questa politica a livello europeo. Erano in corso eccidi e massacri di ebrei e loro trattavano per salvare solo i sionisti e quelli che volevano emigrare in Palestina, gli altri potevano morire. L'esempio di Rezso Kasztner, è illuminante. Questo sionista ungherese, nel 1944, contrabbandò la salvezza della sua la famiglia e degli aderenti alle varie organizzazioni sioniste ungheresi -1600 persone in o tutto- in cambio della sua collaborazione e quella dei suoi seguaci per facilitare la deportazione ad Auschwitz di centinaia di migliaia di ebrei assimilazionisti. Questa politica ha facilitato la quasi estinzione degli ebrei non-sionisti, quelli sulla via dell'assimilazione. I sionisti sono corresponsabili, con i nazisti di questo crimine. Ecco la ragione per cui oggi la maggior parte degli la ebrei della diaspora si dichiarano sionisti e praticano i matrimoni tra soli ebrei.

Cioè una pulizia etnica tra gli ebrei e condotta dagli ebrei?
Serberei il termine "pulizia etnica" a quello che i sionisti hanno fatto ai palestinesi nel 1948. Essi hanno ripulito la Palestina dai suoi antichi abitanti, come ha minuziosamente mostrato Ilan Pappe nel suo recente libro con quel titolo. Direi invece che c'è stata la volontà dei sionisti di liberarsi degli ebrei non-sionisti. Io ho parlato di corresponsabilità dei sionisti con i nazisti. Sono stati i nazisti a portare la morte mentre i sionisti hanno collaborato a vari livelli con i carnefici. Durante il II conflitto mondiale, i sionisti, in alcuni casi, sono giunti ad uccidere direttamente, il più delle volte, hanno denunciato altri ebrei, hanno spesso gestito i campi di concentramento, hanno convinto gli assimilazionisti a starsene buoni, a non ribellarsi, il tutto in cambio della salvezza dei loro seguaci sionisti, dei loro familiari e degli amici. Per quel che riguarda i loro seguaci, bisogna specificare che i capi sionisti non si sono nemmeno impegnati a salvarli tutti, ma solo i più giovani, cioè quelli che potevano combattere con le armi (in previsione della lotta contro gli inglesi e i palestinesi), cioè quelli che potevano lavorare per lo sviluppo delle colonie, quelli che potevano fare figli. I vecchi e i bambini sarebbero stati di peso. Nel 1937, Chaim Weizmann, futuro presidente di Israele, davanti alla Commissione Peel a Londra dichiarò con freddezza: «voglio salvare... dei giovani (per la Palestina). I vecchi passeranno. Sopporteranno il loro destino o non lo faranno. Sono polvere, polvere economica e morale in un mondo crudele... Solo il ramo giovane sopravviverà. Dovranno accettarlo». E qui si tratta di sionisti. Ben Gurion, parlando nel '38, dei bambini (figli di sionisti e non-sionisti), disse: «Se sapessi che è possibile salvare tutti i bambini di Germania portandoli in Inghilterra e solo metà di essi portandoli in Eretz Israel, allora opterei per la seconda alternativa». Ben Gurion sapeva che se gli assimilazionisti e le persone di buona volontà avessero dovuto scegliere tra il salvare gli ebrei dai campi di concentramento e il sionismo, la pietà avrebbe avuto la meglio e tutta l'energia della gente sarebbe stata canalizzata verso il soccorso degli ebrei di vari Paesi; allora "il sionismo" sarebbe stato cancellato dall'ordine del giorno non solo presso l'opinione pubblica mondiale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ma anche in ogni altro luogo nell'opinione pubblica ebraica. Per i sionisti ciò non doveva accadere ed essi fecero di tutto perché non accadesse. Pensi che quando qualcuno disse a Yitzhak Gruenbaum -capo del Comitato di Soccorso (!) dell'Agenzia Ebraica in Palestina- nel 1943 quando gli eccidi erano cominciati, «Non costruite nuove colonie (...) sborsate il denaro per salvare gli ebrei della diaspora», egli rispose: «Il sionismo passa sopra ogni altra cosa». In un'altra occasione, sempre nel 1943, pronunciò la frase: «Una mucca in Palestina vale più di tutti gli ebrei in Polonia». E così i sionisti, alleandosi con i nazisti, si sono salvati, mentre i non-sionisti sono stati eliminati proprio in grazia di quella alleanza. Ed oggi i sionisti dominano su tutti gli ebrei e influenzano pesantemente i governi occidentali. Determinano la politica estera americana (vedi il libro di Mearsheimer e Walt). Per questo Israele è intoccabile e può fare tutto quello che vuole e non solo ai palestinesi... Ma qui tocchiamo il problema della lobby sionista.

Lobby sionista?
Per capirci, prendiamo l'esempio della lobby sionista in America, la lobby sionista più forte d'Occidente. Nella corsa dei due candidati americani alla Casa Bianca, tutti hanno potuto vedere in TV sia Obama sia il suo vice, Biden, sia i due perdenti McCain e la Palin correre a genuflettersi davanti all'organizzazione più potente della lobby, l'AIPAC. Questo era stato previsto da Mearsheimer e Walt e si è avverato puntualmente. I due candidati sono stati costretti a sottomettersi ad un accurato esame davanti ai giudici della lobby riguardo alle loro proposte politiche riguardanti Israele e ai posti di comando che essi erano disposti ad accordare a sionisti (ebrei o non ebrei) nella loro futura amministrazione. Tutti ricorderanno come Obama sia riuscito a spiazzare il rivale proclamando che egli appoggia la linea di «Gerusalemme unica e indivisibile capitale dello Stato ebraico». McCain non si era spinto a tanto. Questa linea è ufficialmente condannata dalla comunità internazionale sulla base di una serie di risoluzioni dell'ONU. Israele prosegue nell'espulsione dei palestinesi (in gran parte di fede cristiana) dalla Città Santa e l'Occidente fa finta di niente pur mantenendo la posizione ufficiale dell'ONU. Adesso Obama, l'«uomo della pace» si è spinto dalla parte di Israele come nessun presidente lo aveva mai fatto. All'inizio sembrava che l'appoggio determinante della lobby andasse per McCain, poi le cose sono cambiate. Bisogna ricordare che il vice di Obama, Joe Biden, appena scelto, si è dichiarato «un ardente sionista» e non mi sorprenderebbe se non sia stato imposto a Obama proprio dalla Lobby. Poi Obama è riuscito a dare garanzie sicure e i favori (e i denari) della lobby sono affluiti dalla sua parte. Un colpo formidabile per i sionisti. Adesso la lobby avrà una politica pro Israele e pro lobby portata avanti da un presidente popolare e non da una controfigura di Bush. I politici occidentali potranno fare anche loro una politica pro israeliana e pro americana (che è lo stesso) senza troppo scontrarsi con l'opinione pubblica. Il movimento pacifista è completamente spiazzato. Certo molto presto Obama distruggerà la sua immagine di uomo nuovo, diventando come la Rice o Powell, il nero di turno che serve gli interessi della lobby; ma alla lobby questo cosa importa, dal momento che ottiene ciò che vuole? In realtà l'immagine di Obama è già intaccata. La scelta della Clinton agli esteri, la scelta di Rahm Emanuel (il cui padre ha dichiarato di odiare gli arabi e di essere sicuro che il figlio agirà a favore di Israele) sono solo i primi segni. Un'altra cosa è riuscita ad ottenere la lobby. Dopo lo strapotere che Bush aveva accordato ad un'altra ala della lobby, agli screditati neocons (quasi tutti ebrei), gli strateghi sionisti hanno pensato di far fare la stessa politica di costoro a dei non-ebrei, ma di sicura fede sionista. Così dopo Biden, ecco ricomparire la Clinton (con la quale Obama all'inizio si era scontrato sulla politica estera e oggi gliel'affida). Hillary è un'altra sionista e si porta al Dipartimento di Stato la squadra ebraica del marito: la Madeleine Albright, Holbrooke, Dennis Ross, ecc. Stessa politica dei neocons ebraici ma portata avanti ufficialmente da non-ebrei. I sionisti non-ebrei sono per fortuna pochi ma sono i peggiori traditori del loro paese e mandano a morire giovani americani in guerre per rafforzare Israele, come è successo in Iraq. Anche noi europei abbiamo la nostra lobby sionista comunque. Non ci facciamo illusioni.

Anche in Europa c'è la lobby sionista?
La lobby sionista si trova ovunque nel mondo dove ci sono sionisti. Se quest'ultimi fossero tutti in Israele le cose sarebbero più semplici ma c'è la diaspora e tra gli ebrei della diaspora ci sono molti sionisti. Già era nel programma del primo congresso sionista (1897) che i sionisti della diaspora dovessero compiere i passi necessari «per ottenere dai diversi governi il consenso necessario alla realizzazione degli scopi del sionismo». Ed è quello che essi sono riusciti a fare. Oggi, dopo la nascita di Israele, la lobby sionista americana e le varie lobby nazionali servono sempre gli «scopi del sionismo», che però sono diversi rispetto a quando bisognava fondare lo stato ebraico. Dopo 60 dalla sua fondazione, Israele non ha fondamenti sicuri. La sua esistenza come «stato ebraico» è messa in discussione ed esso si mantiene solo con la forza. Essendo uno stato etnico che occupa terre altrui e opprime i palestinesi, senza rispettare la legalità internazionale, esso sa bene che è uno stato illegittimo. La lobby ha il compito di "legittimarlo" almeno in Occidente. L'Europa, almeno formalmente, si è impegnata in Medio Oriente con una posizione di equilibrio tra arabi e israeliani. Abbiamo grandi interessi nel mondo arabo. Nel 2004 ci sono stati i primi cambiamenti. II Consiglio dell'UE approvò il "Piano d'Azione UE-Israele" e nonostante la pagella sconvolgente di Israele nel campo dei diritti umani, il Piano dichiarava che «l'UE e Israele condividono gli stessi valori di democrazia, rispetto di diritti umani e sovranità della legge e delle libertà fondamentali». Il che non è assolutamente vero e sono pronto a dimostrarlo. Comunque il Piano fa anche peggio: dà la possibilità a Israele di «prendere parte in aspetti determinanti delle politiche dell'UE». Diventeremo una colonia sionista. Dal 2006 la posizione dell'Europa cambiò ulteriormente. Prima ci fu un ammorbidimento delle critiche a Israele. Ciò avvenne su pressione di uno speciale "Comitato Ebraico Americano per L'Europa". In esso vi è L'Aipac, l'ADL (lega antidiffamazione), l'American Jewish Congress, che si è distinto in modo particolare. A rispondere positivamente da parte dell'UE fu prima Prodi, poi la Ferrero-Waldner, infine Barroso. Prima del 2000 l'UE pretendeva che Israele ripagasse i danni alle infrastrutture costruite nei territori occupati coi denari europei, dopo, la Ferrero-Waldner e Barroso non pretendono più niente. Oggi esiste nel Parlamento europeo una struttura di circa 200 parlamentari "Amici europei di Israele" che lavora per Tel Aviv. Questo sforzo è sostenuto da uomini d'affari ebrei di tutto il continente nonché da ebrei eletti nei vari parlamenti, come, in Italia, la Fiamma Nierenstein e l'avvocato Alessandro Ruben. Infine, con la presidenza UE alla Francia dell'ebreo sionista (lo ha dichiarato lui) Nicolas Sarkozy e la costituzione dell'Unione mediterranea, il sionismo è ormai molto vicino ad ottenere l'accettazione e la legittimazione di Israele nel mondo arabo, tramite l'Europa. Attenzione, questa non è una politica di pace, come dicono i governanti europei. Se la legittimazione araba si realizzerà, Israele avrà mano libera per una politica militare, contro l'Iran, contro Hizbollah e i palestinesi, con il bene placido dei paesi arabi. In questo quadro lo stato palestinese sarà una serie di piccoli bantustans completamente circondati, come Gaza. Solo la crisi economica dell'Occidente può fermare il conflitto. Se la crisi economica farà saltare il potere traballante dei governanti arabi corrotti, assisteremo ad una ripresa del terrorismo, delle rivolte, delle rivoluzioni dei popoli arabi frustrati.

Israele non è uno stato democratico?
No. Non lo è. È uno stato etnocratico. Uno stato per soli ebrei. La democrazia nello stato ebraico vale solo per gli ebrei. Per i non-ebrei è una farsa. Immaginiamo per un attimo che in un Paese multietnico in cui vi è un'amministrazione coloniale, un partito che rappresenta una particolare etnia ha in programma, dopo la fine del colonialismo, di costituire uno stato democratico su tutto il Paese ma cacciando le altre etnie. Possiamo dire che il programma di questo partito è democratico? Per me è un programma razzista basato sulla pulizia etnica. Adesso immaginiamo che, finita la fase del colonialismo, a questo partito venga concesso di costituire il suo stato ma solo su una parte del territorio del paese e a condizione che anche su quel territorio non ci siano espulsioni etniche. Succede invece che lo stato viene fondato subito dopo l'espulsione della maggioranza degli abitanti da parte della minoranza, secondo il suo programma razzista iniziale. È uno stato democratico ma la democrazia doveva coinvolgere tutta la popolazione e non solo la minoranza che ha effettuato la pulizia etnica. Adesso succede che le istituzioni che rappresentano la legalità internazionale (per esempio l'ONU) chiedano a questo stato etnico di reintegrare gli espulsi e accordare loro pari diritti democratici. In risposta questo stato "democratico" (per la sola etnia che esso rappresenta) si rifiuta di farlo, anzi persevera nel suo programma iniziale di volere conquistare tutto il territorio del paese e di colonizzarlo con gente della sua etnia fatta affluire da altri paesi. Questa nuova espansione e questa nuova pulizia etnica non avvengono in modo fortuito ma sono sancite nei documenti fondanti dello stato "democratico".
Per esempio in essi vi si stabilisce che tutto il territorio del Paese appartiene a tutti coloro che appartengono all'etnia giusta ovunque essi si trovino (e magari da migliaia di anni) e non appartenga invece agli espulsi che vi vivevano prima della fondazione dello stato etnico. È ancora uno stato democratico? Non basta. Immaginiamo che in questo stato etnico è sopravvissuta una piccola minoranza dell'etnia sbagliata. Una minoranza in crescita demografica che costituisce circa un quarto della popolazione totale. Queste persone vengono trattate come cittadini di secondo grado, nelle attività economiche, nei tribunali, nella vita quotidiana, ecc., dove devono subire mille discriminazioni. La discriminazione più grave riguarda il possesso della terra. Lo stato si è assicurato, con un'altra legge fondante della "democrazia" etnica, che il 93% della terra del paese resti nelle mani dell'etnia giusta. La vendita di proprietà terriere (e immobiliari costruite su di esse) deve avvenire solo tra persone di questa etnia. È però possibile acquistare nuove terre di quel 7% rimasto all'etnia minoritaria, in modo da espander le proprietà dell'etnia giusta. È ancora uno stato democratico? Di fronte a queste discriminazioni lo stato etnico concede un limitato diritto di voto e un limitato diritto di critica alla minoranza discriminata. Bastano questi diritti politici di fronte alle mille discriminazioni a far sì che lo stato sia democratico? Già sento i difensori di Israele, perché è di lui che stiamo parlando, insorgere e protestare contro la mia ultima affermazione sui limitati diritti politici della minoranza palestinese. Invece è proprio così. Si pensi, per esempio al fatto che in Israele è proibito mettere in discussione il carattere ebraico dello stato. È proibito fondare partiti che hanno come programma uno stato diverso, non etnico, ma di tutti i cittadini. È proibito lottare per l'applicazione della risoluzione 194 dell'ONU che sancisce il diritto al ritorno dei palestinesi espulsi. È proibito lottare per abolire la legge fondante dello stato che dice che la Palestina appartiene a tutti gli ebrei del mondo e che in qualunque momento uno di essi può andare in Palestina a occupare una proprietà che l'esercito dello stato ebraico avrà provveduto a togliere a qualche palestinese dei territori occupati. È ancora uno Stato democratico? Rovesciamo la situazione: immaginiamo per un attimo che lo Stato italiano si proclami stato "cattolico" e stabilisca che i cittadini italiani ebrei, o protestanti o altri ancora non appartengano a questo stato, li discrimini direttamente, proibisca loro di acquistare terre o proprietà immobiliari da cittadini cattolici. D'altra parte stabilisca che i cittadini cattolici (qualsiasi cosa ciò possa oggi significare) non possano vendere proprietà a ebrei, protestanti, ecc, in modo che la terra d'Italia si concentri sempre più in mani cattoliche. Ai non cattolici viene lasciato il diritto di voto ma in modo tale che esso non pregiudichi il carattere "cattolico" dello stato. L'Italia potrebbe ancora chiamarsi stato democratico? E ricordo ai difensori di Israele che gli ebrei in Italia non sono un quarto della popolazione come i palestinesi in Israele. Ricordo loro anche che andando avanti nel modo in cui si sta andando avanti c'è il rischio che oltre che uno stato etnocratico Israele, diventi anche uno stato teocratico, visto il peso crescente dei religiosi nella politica israeliana.

Quale è la spiegazione del furibondo attacco israeliano contro Gaza?
Se guardiamo a quello che sta accadendo adesso a Gaza nel quadro storico che in qualche modo abbiamo tracciato in questa intervista dobbiamo concludere che si tratta di un ulteriore passo in avanti della pulizia etnica dei palestinesi. Se Israele avesse voluto un compromesso con i palestinesi su uno stato palestinese, ebbene le occasioni non sono mancate. I sostenitori di Israele affermano che furono i palestinesi a non accettare la divisione della Palestina nel 1948. Ma chi l'avrebbe accettata? Quale nazione avrebbe accettato la divisione del proprio territorio imposta dall'alto fosse anche dall'ONU (che allora, ricordiamolo, era costituito da un quarto degli stati attuali ed era sotto il controllo di USA e Unione Sovietica)? Se poi l'ONU avesse imposto anche l'applicazione della risoluzione 194 che chiedeva a Israele di permettere ai palestinesi cacciati con la forza di poter tornare, allora le cose sarebbero andate molto diversamente. Ma Israele rifiutò la risoluzione, sicuro dell'appoggio USA, il quale era già sotto l'influenza della Lobby sionista americana. Fece molto di più, assassinò il mediatore ONU Folke Bernadotte che stava elaborando una nuova politica. Israele voleva uno Stato etnicamente puro e niente altro. Questo è il sionismo. Dopo la guerra del 1967, Israele non accettò neanche la risoluzione 242 che imponeva il ritiro israeliano dai territori occupati. Anzi, contro ogni legge internazionale, cominciò a colonizzarli. Israele non accettò nessun compromesso; durante le trattative di Oslo e continuò ancora la colonizzazione. Nel 2002 gli stati arabi offrirono il riconoscimento di Israele e la pace in cambio del ritiro di Israele entro i confini del 1967, ma Israele rifiutò, iniziò la costruzione del muro che ingloba vasti territori occupati dai quali la popolazione palestinese viene lentamente espulsa, e continua sempre con la costruzioni di colonie e con il soffocamento dei palestinesi di Gerusalemme Est. Quando nel 2006, Hamas vinse le elezioni democratiche e formò un suo governo su tutti i palestinesi di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, Israele non lo riconobbe e assieme agli Usa e con la complicità dell'UE, iniziò una politica di divisione dei palestinesi. A questa politica si prestò il corrotto Abu Mazen. Per salvaguardare l'unità, Hamas accettò un compromesso con lui e con quella parte di Fatah che lo sostiene; formò con lui, un governo di unità nazionale. Istigato da Usa e da Israele, Abu Mazen, convinto anche che il nuovo governo era nato per la debolezza di Hamas, organizzò un complotto a Gaza per evincere il potere militare del partito rivale. Ma fallì e furono i seguaci di Abu Mazen ad essere cacciati da Gaza. Allora, Abu Mazen (autodichiaratosi presidente "a divinis" dei palestinesi) sciolse il governo formandone uno con i suoi fedelissimi e lasciò che Israele arrestasse ministri, deputati, dirigenti di Hamas in tutta la Cisgiordania. Si impegnò in trattative per un accordo di Pace con Israele (Annapolis). Queste ovviamente non hanno portato a niente, perché Israele non cede su niente e vuole gente come Abu Mazen che si presta alla finzione eterna delle trattative e intanto avanza con la colonizzazione e la pulizia etnica. Per Israele quindi adesso è essenziale eliminare Hamas, uccidendone o arrestandone tutti i dirigenti. Questo è il senso dell'attacco criminale contro Gaza. Conquistarla e darla a Abu Mazen con il quale continuare la finzione delle trattative. Se Hamas resiste ed Israele è costretto a cessare l'attacco e ritirarsi, sarà Abu Mazen il primo sconfitto, ma fallirà tutta la strategia di Israele e degli americani.

intervista di Giovanna Canzano   

 

BIOGRAFIA di Mauro Manno

 

Nato all'estero 57 anni fa da una famiglia proletaria emigrata in una regione mineraria del Nord Europa, Mauro Manno ora vive a Napoli dove, dopo gli studi liceali classici all'estero, ha frequentato l'Università Orientale di Napoli e si è laureato in lingue dell'Europa occidentale. I suoi studi gli hanno permesso di approfondire questioni e problematiche di storia e geopolitica. Il suo interesse è soprattutto rivolto al Vicino e Medio Oriente, al conflitto Israele-Palestina, all'islamismo politico e al sionismo.
Tra le sue pubblicazioni, "La natura del sionismo" è uno studio sulle convergenze storiche ed ideologiche tra sionisti da una parte e antisemiti e nazisti dall'altra. Ha fatto parte del gruppo di docenti del Master "Enrico Mattei" per il Medio Oriente dell'Università di Teramo ed è intervenuto, con un'argomentazione sulla lobby sionista in America alla Conferenza sul Medio Oriente (17-19 aprile 2007) che tante polemiche ha scatenato. È membro fondatore, assieme al professor Claudio Moffa, dell'Istituto Enrico Mattei di alti studi sul Medio Oriente (IEMASMO), con sede a Roma, un Istituto di ricerca privato che opera con spirito di amicizia con tutti i popoli della regione ma sempre in piena autonomia da qualsiasi influenza di stati o governi