Italia - Repubblica - Socializzazione

.

Ma quale Europa vogliamo?

Giorgio Vitali

 

«L'Europa, una volontà unica, formidabile,

capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni»
(Friedrich Nietzsche)

«C'è un presente ed un avvenire che preparano un'Europa nuova"
(Giovanni Papini)


Di fronte ai molteplici problemi posti dall'accelerazione del processo d'integrazione europea, accompagnato peraltro dal costante ed ineludibile ingresso di altri paesi, è più che lecito porsi i due fondamentali problemi:
1) Dove stiamo andando e
2) Dove vogliamo andare Noi?
Queste due domande meritano risposte accurate e documentazioni dettagliate, che non possiamo certamente produrre in queste poche righe. Tuttavia, di fronte alla domanda postaci dal direttore di "Italia Tricolore" cerchiamo di riassumere in pochi concetti il panorama di sfondo nel quale ci troviamo.
Senza questa visione, infatti, più o meno condivisa che sia, non si può andare molto lontano. Occorre anche premettere che il processo in atto è assolutamente nuovo nella storia dei popoli, non esistendo alcuna similitudine accettabile con il processo apparentemente analogo di costituzione degli Stati Uniti d'America, perché nel nostro caso si tratta di popolazioni, razze, religioni diverse e nel passato troppo spesso configgenti, mentre gli USA furono costituiti da nuclei di persone spesso parlanti la stessa lingua e professanti religioni similari se non strettamente imparentate fra di loro, data la comune ascendenza cristiana.

Esclusione delle eccessive semplificazioni
In questo caso è molto facile scadere nelle semplificazioni di carattere scolastico, che ci accompagnano come base culturale sulla quale la maggior parte delle persone costruisce i suoi convincimenti. Si tratta peraltro della tendenza naturale connessa al principio della "economia del pensiero", che porta tanto l'uomo comune che lo specialista a privilegiare costruzioni concettuali schematiche ed utili abbreviazioni, concentrando l'attenzione su pochi punti e personaggi cruciali ed attirando su questi il dibattito ed il contraddittorio.
Se c'è, invece, qualcosa di complesso, anzi di complicato, questa è la storia dell'Europa nei secoli, che necessariamente si riversa dentro la costruzione dell' Unione. Tenendo ben presente che NULLA nella storia degli uomini è semplice, anzi tutto è molto complicato sotto una superficie apparentemente piatta e sotto un avvenimento principale confluiscono un'infinità di avvenimenti apparentemente secondari e soprattutto divergenti rispetto all' apparente linearità dell' avvenimento che consideriamo "storico".

Sono quattro gli aspetti essenziali da prendere in esame
1) Aspetto geopolitico, geostrategico, sociale.
2) Aspetto storico
3) Aspetto politico
4) Il futuro prossimo: Eurasia.
Dal punto di vista geopolitico dobbiamo prendere atto che stiamo vivendo, almeno dalla fine del XIX secolo, nell'epoca delle grandi aggregazioni continentali. Si tratta di processi automatici, legati a molteplici fattori, fra i quali, sicuramente, l'aumento della popolazione, l'aumento dei traffici e dei commerci, collegati alla necessità di abbattere dazi ormai incongrui, lo sviluppo dei trasporti che rende, anche dal punto di vista psicologico, molto più piccolo il nostro pianeta. In un paio di giorni, grazie anche alle autostrade, è possibile ad un turista attraversare in automobile tutto il nostro continente. Anzi, poiché le autostrade sono costeggiate da graziosi ed invitanti alberghi, questo viaggio risulta del tutto piacevole, oltreché agevole. Le stesse realtà di base furono all'origine, tanto per fare alcuni esempi, del processo unitario italiano e tedesco. Era da poco nata la ferrovia e gli operatori economici trovavano del tutto assurdo dover pagare il dazio ad ogni fermata. E per quanto riguarda la Germania, fu Bismark che esplicitò in modo molto chiaro le ragioni economiche e commerciali delle sue guerra per l'unità nazionale. E non dimentichiamoci che è cognizione comune che la vera nascita della potenza degli USA è stata la ferrovia che ha unito l'est all'ovest. Si trattò di un grande sforzo umano ed economico, che costò la vita a milioni di nativi, motivato chiaramente da una grande volontà di costituire una potenza prima continentale ("dottrina Monroe") e poi mondiale.
Dal punto di vista geostrategico poi, è superfluo sottolineare che nel contesto internazionale, caratterizzato dalla potenza americana, dalle potenze in espansione quali Cina, India ed Indonesia, con Giappone come corollario, dalla potenza similmente in espansione dei popoli che si riconoscono nella religione islamica, sarebbe del tutto controproducente che i paesi europei si presentassero alla competizione isolati. L'isolamento nazionale ed i conseguenti conflitti che nei due ultimi secoli hanno contraddistinto la "guerra civile europea" come è stata riconosciuta da più autori è sicuramente all'origine della decadenza d'Europa. È ben vero comunque che le ultime guerre europee, i cui interpreti erano ben lungi dal percepirne la dimensione di "guerra civile", furono provocate dall'intenzione di costruire l'unità del continente sotto la supremazia a turno di una nazione. Si è trattato sempre di guerre allargate perché ogni volta, specie dal tentativo napoleonico in poi, l'Inghilterra è entrata in lizza, coinvolgendovi anche i suoi possedimenti imperiali, assecondando e confermando nei fatti il principio fondamentale della geopolitica esplicitato da Mackinder, ad Haushofer a Schmitt dello scontro fatale fra il mare e la terraferma.
[Chi governa l'Europa orientale domina lo Heartland, chi governa lo Heartland domina la World Island, chi governa la World Island domina il mondo. (Mackinder 1919)]

Aspetto storico
Premesso, per quanto esposto più sopra, che il processo unitario è ineludibile, che l'inizio "concreto" di tale processo deve farsi risalire nell'immediato secondo dopoguerra alla classe dirigente cattolica europea, che era stata capace di prendere coscienza dell'insostenibilità di una perdurante divisione fra i popoli del vecchio Continente, ormai spogliato di tutti i suoi antichi possedimenti, occorre indagare quali premesse ideologiche prendere in considerazione al fine di elaborare una visione condivisa del futuro dell'Unione.
Per quanto mi riguarda, ritengo che debba esser preso come punto d'avvio un avvenimento per l'epoca ininfluente, ma sicuramente indicativo di una notevole preveggenza. Si tratta della fondazione della "Giovine Europa" da parte di Mazzini e di alcuni suoi sodali. Premesso che, come scrive il De Sanctis, il nuovo movimento d'impronta mazziniana abbraccia unità nazionale, indipendenza e libertà, risulta assai interessante ripercorre il cammino del pensiero di Mazzini, che in un brevissimo periodo fonda i due movimenti: la "Giovine Italia" e la "Giovine Europa". Perché, è sempre De Sanctis, «... La Carboneria era un sistema politico, la "Giovine Italia" è innanzitutto sistema religioso e morale. Mazzini dice: "Bisogna prima educare la società e poi pensare alla politica"».
Siamo nel periodo che segue la fine del primo grande tentativo rivoluzionari.
Così scrive il De Sanctis: «Dopo il 2 dicembre, abbattuta la repubblica da Luigi Napoleone, a Berna si riunirono in una stanza tredici emigranti tedeschi, polacchi ed italiani e firmarono i patti dell' alleanza dei popoli; più tardi vi si aggiunse la "Giovine Francia", ed altre Nazioni furono ribattezzate giovani, e ci fu anche la "Giovine Turchia", ed infine una "Federazione Europea", l'alleanza dei popoli opposta all'Alleanza dei Re. Il fine era la rivoluzione europea per formare una Europa di Nazioni libere federali, in pace perpetua. Ultima conseguenza di quelle idee è il Congresso degli Stati Uniti d'Europa ed il Congresso della Pace, utopia innocente» come ritiene l'autore delle righe qui riportate, ma nei fatti foriera, a 100 anni di distanza, di un'intensa azione diplomatica, quale quella sviluppatasi all'inizio della ripresa postbellica ed avente le stesse finalità.
Non va comunque dimenticato che il 26 ottobre 1849 il Nostro scriveva l'articolo "La santa Alleanza dei popoli", che costituiva un'evidente sfida al potere vigente in quel momento, e che esprimeva una chiara presa di distanze dal babuvismo e dal comunismo. Concetti espressi in precedenza (a partire dall'agosto 1846) come "Pensieri sulla Democrazia in Europa", pubblicati in Italia nel 1997, che dimostrano come Marx, scrivendo "il Capitale" nel 1848 intendesse in realtà combattere Mazzini a causa della sua visione unitaria europea su basi non materialistiche. Ne vedremo le conseguenze proprio nell'ambito dello scontro ideologico che ha maggiormente inquinato la guerra civile europea dagli anni 20 al 1968.
Dopo Mazzini ed il movimento mazziniano non sono molti gli avvenimenti politici o culturali ai quali fare riferimento come indicazioni ideologiche per un progetto di Unione Europea, anche perché il suo concetto basilare di popolo (l'universalità degli uomini componenti una nazione) può estendersi ad un'Europa Unita vissuta come una nazione allargata. Di sicuro, è necessario studiare gli atti del Convegno di Scienze morali e storiche, organizzato dalla Fondazione Alessandro Volta della Reale Accademia d'Italia, sul tema dell'Europa il 14-20 Novembre 1932-XI, e pubblicati dalla Reale Accademia d'Italia nel 1933. In questa "sei giorni intensiva" si discusse da parte delle personalità eminenti d'Europa, dei progetti di unità geopolitica europea. Ne è uscito un libro di oltre 800 pagine. In particolare, il prof. Werner Sombart, durante il suo intervento, dichiarò: «Il presupposto generale di quest'ordine nuovo, di cui noi già vediamo gli inizi, è che l'economia venga fatta retrocedere dalla sua posizione dominante. Noi dobbiamo capire che l'economia non è il nostro fato, che non esistono leggi economiche assolute, e che l'economia può, anzi deve essere subordinata a punti di vista extraeconomici e principalmente politici».
Inutile aggiungere che, in conseguenza della sconfitta del 1945, i gestori dell'economia, specie quella finanziaria, hanno in mano il mondo e lo stanno portando alla catastrofe proprio di questi tempi. È inoltre necessario ricordare il Movimento federalista europeo, fondato nel 1943, assieme al "Manifesto di Ventotene". Si tratta dell'ideale federalista che mi sembra ormai superato dai fatti e di cui si deve riconoscere ad Altiero Spinelli il massimo interprete fino alla di lui morte del 1983.
In questa disamina non può essere dimenticato Jean Thiriart, con il suo movimento per la "Nazione Europa" che negli anni sessanta ha unito ed affascinato moltissimi giovani europei. La sua visione di unità europea non può mancare in un processo di rielaborazione dottrinaria, che si dovrà realizzare necessariamente di qui a poco per l'ingresso di altri popoli che fanno parte indissolubilmente della nostra grande storia. In ogni caso occorre avere un concetto realistico dei processi in corso. Oggi, ad esempio, è inutile accanirsi contro l'esistenza dell'Euro. Questa moneta è stata, alla sua creazione, l'unico strumento tangibile dell'unificazione. Se il potere monetario e bancario è oggi preminente in Europa ciò è anche dovuto ad una realtà sociale secondo la quale è la finanza che regola le sorti del mondo. In un futuro che potrebbe essere prossimo (vedi le previsioni del Gruppo francese di analisi 2020: «È nel corso del semestre prossimo che convergeranno con il massimo d'intensità tutte le componenti della crisi: finanziaria, monetaria, economica, strategica, sociale, politica», su www.effedieffe.com), potrebbe essere innescato il processo rivoluzionario che avrebbe come scenario il mondo e per il quale sarebbe utile essere preparati.
D'altronde, tanto per fare alcuni esempi, i grandi processi rivoluzionari del settecento e dell'ottocento sono stati sempre la conseguenza dell'onda lunga di crisi economiche, in prevalenza agrarie, per le semplicistiche economie dell'epoca. Il presente processo rivoluzionario non potrebbe avere per bersaglio che l'economia dell'usura (L. Salutati, "Finanza e debito dei paesi poveri. Una economia istituzionalmente usuraia", Bologna 2003, pp. 322). Interessante notare come questo autore, professore di morale sociale alla Facoltà Teologica dell'Italia centrale, confermi sostanzialmente le tesi sostenute da Ezra Pound e da Giacinto Auriti.

I processi unitari non sono lineari
Contrariamente a quanto si usa dire, è un fatto storico, e gli storici della Massoneria ne sono concordi, che la Massoneria, durante il periodo cruciale della lotta per l'Unità italiana, subì un'eclissi totale, che viene stabilita entro i limiti degli anni 1814-1856. Mazzini infatti, carbonaro dal 1831, non fu mai massone, anzi, nel costituire il movimento giovanile nazional-sociale aveva creato un'organizzazione sostanzialmente antitetica (come mentalità e come ideologia, essendo la Massoneria un movimento antipatriottico) alla Massoneria stessa. L'incidenza della Massoneria in Italia, con il suo proselitismo negli ambienti militari, di cui dovemmo subire le conseguenze nel primo conflitto mondiale (Caporetto) e nel secondo (25 luglio ed 8 settembre 1943) è sempre stata espressione di interessi extra nazionali e, nella misura in cui oggi risponde a direttive anglo-americane (vedi: Ferruccio Pinotti, "Fratelli d'Italia", BUR), anti europeistici.
Un esempio tipico è proprio Giuseppe Garibaldi ed una delle sue azioni principali: la Spedizione dei Mille. Questa spedizione, già programmata dal Governo Cavour nella riunione del Consiglio dei Ministri del 10 marzo 1859, compresa la previsione di spesa, fu determinata dall'urgenza di prevenire il progetto dei due imperatori, Napoleone III per la Francia e Francesco Giuseppe per gli Imperi centrali. Tale progetto prevedeva la realizzazione del programma giobertiano di una federazione italica sotto la presidenza del papa. Inoltre, Napoleone III esigeva, quale compenso per le sanguinose vittorie di Magenta e Solferino-San Martino, che avevano provocato una reazione negativa nell'opinione pubblica francese, l'insediamento di due napoleonici nel Regno delle Due Sicilie e nel Regno dell'Etruria. Di qui l'appoggio inglese, in senso antifrancese, alla spedizione garibaldina. I rapporti di Garibaldi con la Massoneria ne sono una quasi sconosciuta documentazione. Iniziato alla Massoneria, all'età di 37 anni, nel 1844 presso la Loggia "L'Asil de la vertud" di Montevideo, una loggia irregolare, egli regolarizzò la sua posizione, sempre nel 1844, presso la Loggia "Les amis de la Patrie" di Montevideo, posta all'obbedienza del Grande Oriente di Parigi. Egli frequentò poi le logge massoniche di New York nel 1850, e quelle di Londra nel 1853-54. Solo a Palermo, nel 1862, il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato, gli affidò il titolo di Gran Maestro. Il grande Oriente Italiano, invece, costituito a Torino in ambienti vicini a Cavour e filo-francesi, affidò la carica di Gran Maestro a Costantino Nigra. Si tratta, come si può facilmente notare, di proiezioni italiane di specifici interessi di carattere imperialistico, aventi come base il conflitto Francia-Inghilterra. Pertanto, l'evoluzione dei rapporti intramassonici (e la Massoneria non era l'unica forza in gioco), gli stessi ondeggiamenti fra diverse osservanze di Garibaldi che, in teoria, poteva farne a meno, non sono avvenimenti da poco. Che certamente possono passare inosservati in una storiografia di superficie che ignora financo la presenza della Massoneria nella storia d'Europa. Siamo peraltro ben coscienti che l'intreccio senza precedenti tra società occulte e politica, che ebbe la sua esplosione negli anni 1880-1930 e poi ancora durante e dopo il secondo conflitto mondiale (G. de Sède e S. de Sède, "L'Occultisme dans la Politique", Ed Laffont, 1994), ha lasciato un segno indelebile nella società che non può essere ignorato da chi vuole ricostruire l'Europa su antiche basi avendo come bussola l'opera di illuminazione, di unificazione, di universalizzazione e di imperio spirituale che riteniamo il retaggio della Roma imperiale e pagana.
Tutto ciò per significare che non è possibile pensare che il processo di unificazione europea possa passare attraverso una linea retta tracciata a priori. Anzi, è proprio nell'ambito di queste oscillazioni, di questi giochi occulti di potere nelle quali rientrano anche le infami speculazioni economiche delle quali tanto si parla al giorno d'oggi, che va inquadrato l'attentato al papa Wojtyla, effettuato da un killer di professione, per l'occasione mascherato con attribuzioni ideologiche.
Un fatto però è certo. Sono gli USA quelli maggiormente interessati a contrastare una sostanziale unificazione europea. L'esito del secondo conflitto mondiale ne è un esempio. L'apparente divisione del mondo in due sfere d'influenza, concordato in via definitiva a Yalta, aveva il chiaro intento di smembrare l'Europa ed impedirne, con la falsa guerra fredda, un'unificazione pericolosa per i due falsi contendenti. Ancora oggi, il progetto di Soros, di Kissinger, di Brzezinski, di frammentazione dell'Eurasia per religioni, nazionalità e razze, finora attuato con notevole spargimento di sangue europeo, ne è la riprova. E non dimentichiamo che (come dimostrato nel 1965 dall'uomo d'affari ed ex consigliere di Wilson Benjamin Freedman, morto nel 1984, in una sua famosa conferenza del 1961) il primo conflitto mondiale, già vinto dalla Germania nel 1916, ebbe un risultato disastroso per gli imperi centrali, compreso quello russo, a causa dell'ingresso degli USA patrocinato dagli accordi fra l'Inghilterra ed il Sionismo, che portò alla famosa e funesta Dichiarazione Balfour nel medesimo 1916, diffusa in cambio dei buoni uffici dei banchieri "americani" per l' entrata in guerra di quel paese.

Ragioni del Secondo Conflitto mondiale
Come scrive Sbancor ("American Nightmare", Nuovi Mondi Media, maggio 2003), «... Fu soltanto grazie all'ingresso nella seconda guerra mondiale ed alla messa in opera della macchina bellica relativa, e non grazie agli investimenti di Roosevelt in opere pubbliche che gli USA riuscirono a risollevarsi dalla Grande Crisi degli anni trenta, lo ha ribadito non più tardi di qualche settimana fa il premio Nobel per l'economia Peter North, replicando ad un incauto giornalista che faceva presenti i meriti del keynenismo per l'uscita dalla crisi degli anni trenta: "Non siamo usciti dalla depressione grazie alla teoria economica, ne siamo venuti fuori grazie alla seconda guerra mondiale"».
È pertanto con una certa apprensione che stiamo osservando le nubi che si accavallano all'orizzonte, con le minacce all'Iran e la guerra guerreggiata in Iraq, in Afghanistan, ed il traffico di armi in Africa ed in Asia. E tuttavia, occorre procedere con la costruzione dell'Unione prima che un cataclisma qualsiasi ne arresti il processo, come nei fatti ci sembra stia avvenendo. I partiti politici italiani stanno mutando pelle, non la moralità, per adeguarsi ai prossimi appuntamenti elettorali.

La posizione della Chiesa
Ciò che appare al momento non si discosta dalla vecchia politica dello Stato Pontificio. Questo, che ha operato per venti secoli nell'impedire l'unificazione italiana, contrastando fino all'ultimo il processo unitario, oggi ci sembra perpetuare la sua politica contro l'unificazione europea. La recente operazione di Benedetto XVI, estrinsecatasi con una trasparentissima manifestazione di alleanza con gli USA, come tale giudicata anche in Italia dagli analisti di politica estera, non lascia dubbi. Tanto più che il nome che si è dato questo papa denuncia la chiara intenzione di seguire la politica estera di Benedetto XV, che era alleato con Wilson nel 1919.
Altra linea d'azione della politica estera vaticana consiste nel perseguimento di un accordo con Israele, paese teocratico come lo Stato Pontificio, per cui gli accordi di alleanza geopolitica passano doverosamente attraverso convenzioni religiose. Infatti, la base di discussione e sulla quale si cerca un compromesso se non un concordato, è la famosa frase sui «perfidi giudei».
Per chi non lo sapesse, è dal 1928 che la Sacra Congregazione dei Riti va proponendo soluzioni finora non accettate a turno da uno dei contendenti.

Si profila all'orizzonte l'Eurasia
La naturale ineluttabile conseguenza dell'Unificazione Europea non può che essere l'Eurasia, sulla quale ci riserviamo di interloquire in futuro. Va qui ricordato che già nel 1950 fu pubblicato da Garzanti un libro dello storico H. H. Schaeder, "L'Eurasia antica". In questo testo l'autore esamina gli aspetti della storia antica, con prevalenza quella mediterranea e del vicino oriente, alla luce di una visione globale dell' Eurasia. (Eventi economici, movimenti di popoli, culture, lingue, razze, scontri di popolazioni).
È giunta l'ora di cominciare a ragionare in questi termini e dentro questi parametri.
 

Giorgio Vitali