Italia - Repubblica - Socializzazione

 

La recriminazione NON può identificarsi con la Politica

Ritorno alla politica

 

Giorgio Vitali   

       

«Il materialismo è un male mentale, che confina proprio con la malattia mentale. Un giorno si scoprirà che il materialismo è stato una malattia mentale ossia un'esperienza dell'organo cerebrale che doveva essere compiuta dall'Io. Se non la si attraversa, se ci si arresta, esso comincia ad essere un male fisico, un male fisio-psichico, ai confini della paranoia»
Massimo Scaligero

«Il cammino della scienza è nascosto agli occhi, come un'antica pista nel deserto, è disseminato degli antichi scheletri impalliditi delle teorie abbandonate che un tempo parevano destinate a vivere per sempre»
Arthur Koestler


A causa delle recenti mediocri dichiarazioni di Gianfranco Fini si è verificato un vero diluvio di dichiarazioni da parte di persone in un modo o nell'altro legate alla "Destra" politica; con repliche, spesso astiose, di chi ha ragionevolmente accusato i tanti «amanti traditi» di essersi accorti troppo tardi di come stessero le cose. In ambedue i casi, comunque, la vis polemica ha soverchiato, secondo un costume che fa perno sull'emotività latina, la pacata considerazione politica che dovrebbe prevalere su ogni valutazione che abbia come riferimento posizionamenti politici più o meno legittimi.
Di fronte a queste manifestazioni di pura esternazione emotiva, l'impressione, peraltro costante da molto tempo, è la difficoltà di elaborare un progetto politico di ampio respiro, per cui hanno sempre buon gioco nel nostro paese i vecchi venditori di fumo i quali, a fronte di precise e documentate contestazioni, scatenano ad arte reazioni immediate, spesso del tutto irrazionali.
La POLITICA è sicuramente un'Arte. Ma un'arte, come la medicina, legata a definite basi teoriche. Che affondano da sempre le proprie radici in una sicura conoscenza del terreno ove far proliferare la questa magica e creativa scienza.
Nel "Dizionario Politico Popolare" un'opera dell'ottocento, la Politica è definita così:
«Scienza del governo, che in sostanza è semplice come la religione del cuore, e che i politici della bottega hanno fatta misteriosa come la teologia».
L'esempio è quanto mai pertinente, in un paese come il nostro nel quale le linee guida della politica nazionale sono dettate da personaggi molto sensibili alle sollecitazioni del clero. Si tratta in questo caso di gerontocrati, che controllano il sistema informativo, politico, burocratico, statale, con la mentalità affine ai gerontocrati del clero. È una tecnica di "disinformazione" che evidentemente ha una presa sulla Massa superiore ad ogni pessimistica previsione. Scriveva negli anni cinquanta Ernesto Massi: «Si vuole ridurre l'Italia ad una formazione statale senz'anima, ad una specie di guardia svizzera su scala mondiale ed il popolo italiano dovrebbe pagare con l'inerzia politica l'onore di ospitare il centro della Cristianità» ("Lotta Politica", 4/2/1950).
Ma chiamiamo a testimone Platone, il quale ("Gorgia", 458) ci ammonisce: «Niente, difatti, è per l'uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui, ora, stiamo discutendo. Se, dunque, anche tu sostieni di essere un uomo di questo genere, discutiamo pure; altrimenti, se credi sia meglio smettere, lasciamo perdere e chiudiamo il discorso!».
Cogliamo l'occasione anche per citare James Madison: «Un governo del popolo, senza informazione del popolo, o i mezzi per ottenerla, è solo una premessa alla farsa, o alla tragedia o ad entrambe. La conoscenza sempre governerà l'ignoranza. Se un popolo vuole essere il proprio governo, deve armarsi del potere che la conoscenza da».
Secondo Vilfredo Pareto, studioso che dovrebbe essere considerato sempre un riferimento in Italia, «… all'opera degli uomini di Stato sovrasta quella delle forze profonde esistenti nella società, generalmente dei sentimenti e degli interessi …»
E qui entriamo nel vivo del problema.

I libri di riferimento
Premettiamo che i libri indispensabili, fra i tanti utilizzabili, per un concreto discorso politico, che abitualmente prendiamo in considerazione, sono i seguenti: Luciano Lucci Chiarissi: "Esame di Coscienza di un fascista", IRSE. Pacifico D'Eramo: "La liberazione dall'antifascismo", Ed. dell'Orologio, E. Von Salomon, "I Proscritti", Mondatori, W. H. McNeill: "Tramonto di una civiltà", Casini ed. ed infine opere varie di argomento Geopolitica, possibilmente edite da Asterios a Trieste. Ad essi dovrebbero essere aggiunti libri di Costanzo Preve, Domenico Losurdo e Paul Virilio, perché tutti costoro trattano il problema politico nell'ottica realista, che fu di Machiavelli, che tiene conto, senza condizionamenti ideologici, dell'aspetto sociologico, umanistico e classista degli avvenimenti in corso e del passato più recente. Per quanto riguarda il post-fascismo devono essere presi a riferimento i libri di Giuseppe Parlato e Marco Tarchi.

Il consenso al Movimento Sociale Italiano
Poiché nelle polemiche in corso emerge sempre il ruolo contraddittorio, se non palesemente equivoco della dirigenza missina, occorre interloquire per ristabilire le giuste proporzioni.
Se è vero, come incontestabilmente dimostrato, che la dirigenza di quel partito ha seguito una politica del tutto opposta non solo alle linee direttrici di quella della RSI ma anche a quella mussoliniana lungo tutto il periodo fra le due guerre, che fu, più o meno marcata, di opposizione alla politica atlantica che ci teneva inchiodati dentro il "Mare Nostrum", ciò non può essere attribuito alla sola malafede. Il consenso al MSI è tutt'oggi socialmente e classisticamente (in termini marxistici) ben determinato. Ed anche misurato. Non starebbe a Noi, ma ci spetta per dovere di operatori politici, descrivere il fenomeno, che ha anche risvolti patologici, come il fatto che un Fini possa citare impunemente a giustificazione dei propri comportamenti un Ezra Pound, uomo che ha vissuto coerentemente tutta l'esistenza, pagando sempre di persona, oppure che un Ciarrapico, di vecchia famiglia missista, e contemporaneamente strettissimo collaboratore di Andreotti, (un avvocato Fernando Ciarrapico difese nel 1950 Ezio Maria Gray ed Ugo Dadone contro Carlo Sforza) nell'accettare la candidatura al Senato da Berlusconi abbia citato, in un'intervista e con l'aria di chi la sa lunga, proprio Mussolini a giustificazione della sua scelta.
Noi siamo giunti ad una conclusione ovvia: è il consenso che giustifica la presenza di un partito, di un gruppo o di una consorteria, tanto in parlamento, quanto nella vita civile. Si tratta non solo di una constatazione di stampo democratico, ma è una realtà sociale sempre presente nella storia.
Il consenso può essere analizzato da molti punti di vista, fuorché da quello moralista. Come dimostra la vicenda umana e civile di Robespierre. [Billaud-Varenne, a tal proposito, pronunciò il 20 aprile 1794 questa frase, che va ricordata come l'inizio della fine dell'incorruttibile: «Ogni popolo geloso della sua libertà deve stare in guardia contro le virtù stesse degli uomini che occupano cariche importanti»] La politica, come insegna la storia umana fino ad oggi, anzi, oggi in particolare grazie alle imprese dell'Impero USA, è sempre al di sopra, o al di sotto, della morale; la quale, a sua volta, è spesso codificata nell'interesse di chi detiene il potere.
Un caso particolare per l'analisi delle forme collaterali del "consenso" è costituito dalla nascita della UNCRSI. Questa organizzazione fu fondata contro la Federazione dei Combattenti socialrepubblicani semplicemente perché quest'ultima NON accettava la scelta atlantista del MSI.
Il fatto in se stesso non significa molto, mentre è significativo che la maggioranza degli ex combattenti repubblichini si trovò ad aderire a questa nuova organizzazione senza sapere bene il perché. Tanto che, fino ad oggi, è proprio questa associazione che, nel nome di una fantomatica continuità ideale, ha sostenuto le evoluzioni dell'ex-MSI fino all'attuale convergenza nella Democrazia Cristiana europea. Ciò ha comportato un'ulteriore scissione, con nascita di altre sigle di ex-combattenti, che però non ha intaccato l'aspetto retorico sottostante alla sostanziale adesione alla linea politica scelta e coordinata dalle teste d'uovo che assecondano Berlusconi nella sua gestione della cosa apparentemente pubblica.
Pertanto, se ogni partito, attraverso il voto, rappresenta di fatto una realtà socio-politica, sarebbe utile interrogarsi del perché la base del MSI abbia sempre approvato le scelte del vertice, che designava gli uomini che lo avrebbero rappresentato (un'unica eccezione: Beppe Niccolai) in tutti gli istituti di questa Repubblica, nonché nell'ostentazione dell'anticomunismo "viscerale" e fine a se stesso, e nella conseguente scelta atlantista, notoriamente frutto di una mistificazione perché i trattati firmati in vari momenti della guerra fra i nostri nemici situavano l'Italia, intesa come pura espressione geografica, nell'ambito dell'area di controllo atlantica. Posizionamento prevedibile e senza deroghe per quanto attiene ad una ormai secolare politica marittima di quelle potenze. Da aggiungere anche il fallimento di qualsiasi tentativo di proposta politica d'indipendenza nazionale tentata all'interno di quel partito da non poche componenti genericamente definibili "di sinistra", prima fra tutte quella che faceva capo al professore Ernesto Massi, uno dei fondatori della GEOPOLITICA ITALIANA, che pubblicava la rivista "Nazione Sociale". [Nota 1]
Le 130 basi americane sul nostro suolo ne sono tutt'oggi una lampante manifestazione. Una prima spiegazione del fenomeno può essere trovata nelle stragi che i comunisti praticarono nei confronti dei socialrepubblicani e dei loro sostenitori nell'immediata fine del conflitto. In quei pochi giorni che seguirono la resa delle truppe italo-tedesche, i comunisti portarono a termine una decimazione programmata delle truppe italiane che ingenuamente si erano arrese in seguito all'ordine di consegnare le armi emanato da Graziani.
I togliattiani, a conoscenza degli accordi presi da alcune autorità repubblicane con gli Atlantici, (si tratta di un comportamento abituale; in un certo senso anche l'8 settembre deve essere ascritto a queste pratiche) con finalità anticomunista, e paventando un vero e proprio colpo di stato in tal senso (che fu soltanto procrastinato) con relativa eliminazione della componente comunista dal governo (ricordiamo l'esito della guerra civile greca!) approfittando della fase di transizione durante la quale gli Alleati non avevano ancora preso il pieno possesso dei territori dell'Italia del nord, attuarono una vera e propria pulizia etnico-politica, con particolare ferocia slava nelle zone di confine del nord-est. Su questa paura dei comunisti avrebbe poi giocato la carta vincente proprio la DC degasperiana, mentre per il MSI fu facile la caratterizzazione, che lo ha seguito fino ai più recenti slogan berlusconiani, del partito «più anticomunista che ci sia».

[Nota 1]: In un'intervista rilasciata a Gianni Rossi, nel 1990, quando fu pubblicata per i tipi dell'ISC l'antologia di suoi scritti, (che chiunque si interessi al problema dovrebbe leggere con molta attenzione), Massi, che era stato uno dei fondatori del MSI assieme all'avvocato Redenti, ed al prof. Sargenti, e che aveva svolto politica attiva nei primi decenni del dopoguerra, basata su contatti con tutte le forze politiche ed imprenditoriali dell'epoca, fece alcune dichiarazioni a nostro avviso molto importanti, disse, ad esempio che «… Sembra quasi che un giuramento di sangue legasse Michelini, De Marzio, Gray e poi Tripodi e Roberti contro gli esponenti della RSI». Ed alla domanda: «Ma come hanno potuto convivere le varie "anime" del MSI?» Rispose: «Il merito è stato degli avversari. Loro non distinguevano tra i fascisti. E questo ci induceva a cercare di realizzare un fronte più compatto possibile, anche se la convivenza fu sempre problematica, fino a divenire impossibile». Un'altra frase, fra le moltissime, va riferita: «Almirante e Michelini hanno perso molto tempo per farmi la guerra; avrebbero potuto impiegarlo meglio».
Altri concetti espressi in quell'intervista sono da citare. Come l'importanza di organizzare politicamente i reduci, con un'ideologia di base da sostenere, piuttosto che lasciarli ad un generico reducismo del tutto funzionale al Sistema. Come l'incredibile silenzio che ha circondato quella sinistra, al contrario del chiasso attorno al cosiddetto "radicalismo di destra", fatto a suo tempo notato anche dal De Felice. Come il fatto che tutti i movimenti neofascisti in Europa e nel mondo fossero di sinistra (Per Engdahl in Svezia, Maurice Bardèche in Francia, Priester in Germania, Mosley in Gran Bretagna) e che per questa ragione non furono tenuti dal MSI i contatti con costoro. Infine un paio di considerazioni nostre: è significativo che Massi, esponente della sinistra fascista, o meglio, «social-corporativa» fosse anche un geopolitico di rilievo. C'è connessione fra le due forme di analisi politica. Lo stesso Massi nell'intervista cita una frase di Pierre George, il capo della scuola francese di "geografia economica", secondo il quale questa scienza parallela alla scienza politica è pericolosa, perché svela gli interessi esistenti sotto le ideologie ed i programmi politici. È poi molto importante seguire, attraverso le parole di Massi, il ruolo giocato dalla massoneria fascista, sempre presente dietro le quinte dei primi decenni del dopoguerra. Per ultimo, occorre ricordare i nomi delle personalità più importanti che diedero vita e che sostennero questa corrente. Bruno Spampanato, Giorgio Bacchi, Massimo Aureli, Raffaele Valensise, Mario Cassiano, Carlo Fettarappa Sandri, Carlo Colognatti, Francesco Palamenghi-Crispi, Giorgio Pisanò, Ugo Clavenzani, Battifoglio, Del Giglio.


L'analisi sociologica

 

«Se scrivere storia significa fare storia del presente, opera di storico vero sarà quella che nel presente aiuta le forze in sviluppo a divenire più consapevoli di sé stesse, e quindi più concretamente attive e fattive».
Antonio Gramsci, "Il Risorgimento", pag. 63


Non è il caso di affrontare questo tema con un trattato.
Tuttavia, se da un'analisi politica si esclude la componente sociologica non si viene a capo di nulla, perché ci si esclude aprioristicamente la possibilità di interpretare i movimenti della storia (o della cronaca) nelle loro varie componenti, per portare alla ribalta solo alcuni momenti, e probabilmente i meno importanti. È altresì vero che una corretta comprensione dei fenomeni richiede la capacità di affrontare la complessità. Come scrive Edgar Morin, «… ogni volta che una grande trasformazione storica si è realizzata, le chiavi non esistevano in anticipo. È la trasformazione stessa che ha portato le soluzioni».
Secondo Norbert Elias, citato da Maurizio Ghisleni e Roberto Moscati in "Che cos'è la socializzazione", Carocci, 2003, la società moderna è espressione di trasformazioni intervenute tanto sul piano delle strutture economiche che delle singole psicologie e che quindi vi sia stata una coevoluzione tra le strutture sociali e le strutture psichiche. Tesi del tutto condivisibile in quanto i comportamenti, soprattutto nella società moderna e postmoderna sono stati molto più condizionati dagli apporti culturali di quanto non lo fossero nelle società precedenti, nelle quali buona parte delle popolazioni vivevano di pratiche agricole tramandate per via famigliare da secoli. E tuttavia, l'incontro-scontro vissuto all'interno della Classe dirigente della Rivoluzione Francese, apparentemente un monolite dal punto di vista sociologico (neoborghesia massonico-postilluminista) rivela ad uno studio più attento la reciproca interferenza fra gruppi sociali differenti e contrastanti su posizioni apparentemente coperte da asserzioni ideologiche o puramente verbali. E forse l'unico momento unificante di tutte queste componenti è stata la ribellione contro i diritti signorili. A. Cobban ("La società francese e la Rivoluzione", Vallecchi, 1967) scrive esplicitamente di una rivoluzione delle classi abbienti. Avvicinandosi abbastanza alla verità, a nostro avviso.
Col piccolo addentellato di carattere "mistico" secondo il quale l'incorruttibilità viene dimostrata dall'uso salvifico della ghigliottina.
Pertanto, se come si verifica attualmente con i molti interpreti dell'evoluzione di Alleanza Nazionale, non si tiene conto della componente sociale che ha costituito fino ad oggi la base di quel partito, si finisce per non capire il comportamento dei dirigenti dello stesso. E non si riesce a comprendere certi voltafaccia verbali e come questi siano stati assorbiti dalla base, tanto che il congresso che ha sancito la fine della esperienza politica su cui cerchiamo di fare chiarezza era costituito da ben 1.800 delegati.
A noi questo fenomeno non ha provocato alcuna particolare impressione, stante l'analisi ed il giudizio a suo tempo elaborati nell'ambito della nostra associazione (FNCRSI), e si era alla fine degli anni sessanta, sulla componente sociologica che sosteneva il MSI. In altre parole, il problema si pone per chi fino a pochi mesi fa prendeva per buone le dichiarazioni di Fini su Mussolini, contraddette e rovesciate poco dopo con enorme facilità, nel disinteresse generale degli italiani. Pertanto, tutti coloro che si dichiarano "traditi" dalla dirigenza di AN che è stata anche quella del MSI (Fini è stato "scelto" come esponente del mondo giovanile missino contro il voto interno che aveva dato la maggioranza a Tarchi) o non hanno capito nulla della politica o erano talmente assuefatti alla retorica delle parole da non riuscire a dissociare le parole dai fatti. Né più né meno di quanto hanno agito tutti coloro che hanno in qualche modo partecipato alla kermesse del MSI, dalla sua costituzione fino ad oggi.
Premesso che il contesto in cui ci troviamo ed il modo in cui diciamo le cose hanno un'importanza maggiore di ciò che affermiamo, è indubbio che la rigidità dei modelli e la mancata consapevolezza della loro origine e funzione giocano un ruolo fondamentale nell'interpretazione dei messaggi politici lanciati per l'aere da profeti improvvisati.
Scrive Isaac Deutcher: «Incapaci di comprendere i motivi e le aspirazioni dell'avversario, paure e sospetti profondi ed ossessivi facevano vedere agli uni una perversa cospirazione in qualsiasi passo compiuto dagli altri».
La sequenza di invettive nei confronti del fascismo elargite da Fini, pertanto, ci sembrano più la manifestazione di una crisi d'identità civile, da analizzarsi in termini storiografici e congiunturali del tipo di quella elaborata negli USA dal Gruppo di Chicago negli anni Trenta, che si poneva il problema dell'immigrazione dall'Europa e dei fenomeni che ne sarebbero emersi. Fu in quegli anni che si elaborarono alcune definizioni sociologiche, fra le quali quella di "uomo marginale" ed il concetto di "devianza" valide tutt'oggi. La crisi esistenziale infatti presuppone l'accettazione acritica ed infantile di una realtà contestuale in via teorica non accettabile. Scrive Fulvio Grimaldi ("Delitto e castigo in Medio Oriente", Malatempora ed.): «Siamo in un paese in cui la classe politica deve tutto a Massoneria, Mafia, Chiesa e Stati Uniti, ed alla sprovvedutezza e implicita-esplicita tolleranza degli organi "di sinistra" per quanto attiene ai suoi bugiardi stereotipi fondanti».
Va ulteriormente citata l'opinione decisiva di Wilhelm Reich, il quale negli stessi anni trenta scrive: «Non è semplicemente il fatto di imporre ideologie, atteggiamenti e concezioni ai membri della società. Si tratta di un processo profondo su ogni nuova generazione, della formazione della struttura psichica, che corrisponde all'ordinamento sociale esistente, in ogni strato della popolazione… Poiché quest'ordinamento modella la struttura psichica di tutti i membri della società, esso si riproduce nella gente …»
Corollario alle precedenti considerazioni, e con lo scopo di presentare le dichiarazioni del presidente della Camera, («… questo grande collettore di 508 fogne», come scriveva Mussolini nel 1915) nel loro reale contesto, vogliamo ricordare anche il tentativo di influenzare la pubblica opinione continentale con la proposta delle "radici giudeo-cristiane".
Anche in questo caso abbiamo a che fare con un tentativo infantile di forzatura, perché «… reclamare l'innesto del Cristianesimo in Europa quale innesto di carattere esogeno del giudaismo sul romanesimo, occulta le profonde e vere radici fondanti l'identità religiosa romana e greca… In questo caso si potrebbero ribaltare le parole fatte dire a Saulo, nel tentativo di guadagnare gli europei del mondo ellenistico-romano: "Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te"» (L. M. A. Viola)
È anche il caso di richiamare l'attenzione sul famoso "sofisma di Talmon" che propriamente sofisma non è, dal nome dello studioso che, nell'immediato dopoguerra, ha condannato la "democrazia totalitaria" da Rousseau a Stalin, contrapponendole la "vera democrazia", proprio quella che felicemente ci controlla, quella che a suo modo di vedere avrebbe sempre aborrito la coercizione e la violenza, la liberaldemocrazia che è in cima ai pensieri degli adepti di Alleanza Nazionale pronta ad entrare nel Partito Popolare Europeo per collaborare all'edificazione del nuovo mondo catto-liberale quale auspicato da Marcello Pera e Dino Cofrancesco sotto l'usbergo dell'alleanza politica USA-Vaticano.

Deduzioni della sociologia del fascismo
Dall'analisi sociologica possiamo tranquillamente estrarre un'interpretazione del fascismo come movimento dei ceti medi. [Naturalmente il tentativo di coinvolgimento delle altre Classi sociali è stato intenso, come dimostrano tanto la letteratura ed i dibattiti in corso all'epoca, quanto l'istituzione corporativa] Di sicuro i Ceti Medi, che in tutte le società, quando sono emersi, hanno agito come mediatori fra le forze in gioco, sono stati sempre compressi se non schiacciati nel nostro paese, anche oggi che dell'attualità e necessità del coinvolgimento diretto dei "ceti medi professionalizzati" la coscienza nazionale sembra non rendersi conto, vista l'esclusione delle Organizzazioni dei Quadri da ogni dialettica sull'evoluzione nazionale, da sempre strutturata a favore di un'alleanza concordataria e sottobanco fra sindacati operai, privi ormai di autentica rappresentatività e legittimazione storica, ridotti a pura rappresentazione feudale, come previsto da Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca ad inizio secolo XX, e porzioni datoriali egemoniche composte per lo più da esponenti di un'industrializzazione di tipo "pesante", superata dall'evoluzione della ricerca.
Per anni abbiamo dovuto subire un'impostazione politica del giudizio sul fascismo basata esclusivamente su presupposti marxisti scolasticamente interpretati, cioè classisti, che anacronisticamente giudicavano l'evoluzione sociale solo in termini di conquista del potere da parte del cosiddetto proletariato.
In realtà il problema deve essere visto solo in funzione della positività evolutiva di una società, ed in questo caso è evidente che portare alla ribalta ed affidare la guida di una nazione ai Ceti Medi ha rappresentato, e lo rappresenterebbe ancora oggi, un innegabile progresso, proprio nell'ambito del superamento delle vecchie formulazioni classiste, dove la logica operaista è la logica del capitale dell'industria pesante, e quella alternativa, gestita fino ad oggi dalle forze più o meno sindacalizzate del cattolicesimo politico, è costituita per lo più dalla burocrazia statale e dal contadinato. Proprio quello che aveva previsto Mussolini già nel 1943, precisamente dopo l'otto settembre, su quanto sarebbe accaduto in Italia nel dopoguerra, subito dopo l'eliminazione delle Leggi socialrepubblicane sulla Socializzazione. Se pertanto esaminiamo l'analisi sociologica del voto al MSI, questo, oltre a rappresentare un certo numero di fascisti autentici, rimasti intrappolati in quell'organizzazione per ragioni esistenziali, risulta costituito dal voto della piccola e media borghesia di provincia, mentre a Roma il noto e costante consolidamento elettorale, che portò al rischio di un Fini sindaco appena dopo lo sdoganamento, è sempre stato costituito dall'impiego burocratico statale, potenziato proprio durante il regime, che si è contraddistinto dall'adesione sindacale alla CISL ed il voto al MSI, al quale va aggiunta una componente attivistico-borgatara persistente ancora oggi, tant'è che ad ogni tornata elettorale devono essere evocati degli ectoplasmi capaci di controllare e soprattutto contenere il voto erratico, esattamente come fu il ruolo elettoralistico che esercitò il MSI nei confronti della Democrazia Cristiana. [Che il MSI sia stata la sputacchiera della DC ce lo conferma una nota battuta di Giulio Caradonna il quale, evidentemente, se ne intende.]
Questa tipologia di voto, di necessità, confina da sempre col voto democristiano, anche per la sopravvivenza di componenti vetero papaline (nel senso di una tradizione persistente dal 1870) e quindi il travaso attuato dalla dirigenza di AN, apparentemente uno strappo ma solo per i gonzi, in realtà non lo è stato, per la semplice ragione che, se fosse stato attuato contro la volontà della base sarebbe stato immediatamente denunciato e condannato dall'elettorato.

Il giudizio di Pavolini
Alessandro Pavolini, segretario del PFR, nel discorso del 12 febbraio 1944 pronunciato in occasione dei funerali di Ettore Muti a Ravenna, parlò di un fascismo nato nei borghi. Questo concetto che era stato ripreso dalle opere di due toscani di razza, Ardengo Soffici e Curzio Malaparte, contiene buona parte di verità. Perché quello che in Toscana sono i borghi, in altre parti d'Italia sono altre forme di vita associata, ma tutte fulcro di quella borghesia che fece grande il Medioevo italiano. Un ricordo particolare merita Ardengo Soffici che, nato a Rignano sull'Arno nel 1879, fu una delle personalità artistiche più complete, a livello mondiale, del novecento. Fra i tanti suoi libri, editi quasi tutti dall'editore d'avanguardia Vallecchi, "Lemmonio Boreo, L'allegro giustiziere", ed "Il taccuino di Arno Borghi". Già i titoli sono significativi. Dal "taccuino" ricaviamo una pensiero che proprio in questi giorni dovrebbe far riflettere. «L'architettura è lo specchio della civiltà. Ogni popolo veramente civile ha la sua, e dal perpetuarsi o l'imbastardirsi dei caratteri di essa si può argomentare del vero rigoglio e della decadenza civile dei popoli e delle nazioni». [Quando, nell'immediato dopoguerra, Soffici fu interrogato dalla commissione alleata di epurazione, alla domanda di quando si fosse iscritto al fascismo, egli rispose di esserlo sempre stato, avendo scritto il libro "Lemmonio Boreo", che anticipava le avventure scanzonate ma politicamente molto consistenti, degli squadristi]
Altri due autori che occorre ricordare per non contribuire alla dispersione della memoria, sono Lorenzo Viani ("Parigi", "Angiò uomo d'acqua") e Fabio Tombari, del versante adriatico dello stesso parallelo geografico d'Italia ("I ghiottoni", "Tutta Frusaglia", "La Vita").
Senza conoscere l'opera di questi artisti, anche per il loro apporto figurativo e linguistico, non si può comprendere l'origine del fascismo, e quindi non se ne può parlare.

Sansepolcrismo ed oltre
La storia del fascismo è semplice ma è viziata dall'ignoranza di coloro che pretendono scriverne senza conoscere gli avvenimenti. Ernesto Massi, in una delle interviste concesse a proposito del programma del 23 marzo 1919, ricorda: «C'è chi vedeva nel nuovo movimento l'ala sinistra del nazionalismo, chi un sindacalismo nazionale, chi come Massimo Rocca, (Libero Tancredi), l'ala marciante e riformatrice del liberalismo. Mussolini vi vide qualcosa di nuovo. La continuazione del sindacalismo interventista, il riabbraccio del lavoro con la nazione; vi vide la possibilità di svuotare il socialismo del suo contenuto, trasferendo alcune delle sue istanze sul piano nazionale, affermando la solidarietà dei fattori produttivi e la subordinazione degli interessi dei singoli e dei gruppi ai fini etici della Nazione e della Giustizia sociale. Se non ci è lecito qui esprimerci sul grandioso tentativo, ci è consentito invece affermare in sede di critica storica che è proprio in tale evoluzione dal socialismo che sta l'originalità della concezione. Respingere questa parte di Mussolini ed immaginarsi il fascismo senza di essa significa immiserirlo e snaturarlo. Al di sopra della funzione innovatrice svolta dal capo, il fascismo senza Mussolini sarebbe forse divenuto quella sintesi di sindacalismo, di liberalismo e di nazionalismo, di cui Rocca auspica ancora oggi l'avvento nel nostro paese, e di cui abbiamo avuto con il "Qualunquismo" un inconcludente anticipo».
Va aggiunto che, il programma Rocca-Gorgini della primavera del 1922, che iniziava la trasformazione in senso liberale del fascismo, fu benevolmente commentato dal "Corsera" come «… un trionfo della pura concezione liberale manchesteriana …». Questo per dire che nel fascismo erano necessariamente presenti molti aspetti delle concezioni politiche presenti nella cultura europea, e tuttavia Mussolini si sbarazzò di questa concezione con quattro frasi, in un breve articolo di fondo sul "Popolo d'Italia", definendolo inutile e sorpassato. Questo è quanto!
D'altronde Maurice Barrès ed altri autori francesi ci permettono di individuare la successione delle generazioni nel fascismo. La generazione dei precursori e dei padri va all'incirca da George Sorel (1847-1922), passando per il marchese de Morès (1858-1896) fino a Barrès (1862-1943) e René Quinton (1865-1925). Punto di comparazione, Gabriele D'Annunzio (1863-1938) e Gottfried Benn (1886-1956). La generazione intermedia, quella che incarna il fascismo in senso stretto, nata tra il 1890 e 1905, è costituita da: Drieu La Rochelle, Céline, Monthérlant, Rebatet, Ernst Junger, Roberto Farinacci, Oswald Mosley, Doriot, Codreanu, José Antonio Primo de Rivera, Léon Degrelle, Brasillach (1909-1945). [Tratto da: Armin Mohler, "Lo stile fascista", Settimo Sigillo.]
Ci sembra evidente, anche dal non piccolo numero di nomi coinvolti, che il fascismo non possa essere definito movimento di destra e tanto meno nuova forma di liberalismo. È esattamente il contrario. Basti leggere gli autori citati.

L'opinione di Gianni Baget Bozzo
Il prete craxiano che, a parte alcune battute a vuoto, resta una delle poche teste pensanti della politica italiana, anche perché egli l'ha vissuta direttamente fin dagli anni cinquanta, ha scritto un articolo su "Tempi" (26/2/2009) con il quale fa derivare il fallimento del PD dal maldestro tentativo di continuità della Sinistra post bellica dal fascismo. Dichiara infatti don Baget Bozzo: «l'idea fondamentale del PCI fu quella di creare una rivoluzione politica che desse allo Stato una funzione ideologica, un potere totale dello Stato, pur lasciando la proprietà privata intatta. Fu questo che condusse ad una sorta di rivoluzione, che non divenne etnicista e razzista perché curiosamente in Italia il PCI pensò la rivoluzione in chiave nazional-capitalistica, e pensò se stesso come partito ideologicamente sintetico dello Stato e della Nazione. Ecco, il PCI volle fare la stessa cosa del Fascismo, una sintesi dell'Italia come capitalismo e come rivoluzione. Tra il PCI ed il PNF c'è stata una continuità impressionante». Notiamo di sfuggita che il prete-politologo coglie molto bene l'aspetto rivoluzionario del fascismo ed il tentativo di scopiazzamento da parte del partito berlingueriano, che diventa con Veltroni un internazionalismo americanocentrico. Una sequenza di fallimenti legati al velleitarismo parolaio ed intellettualistico camuffati da "egemonismo culturale", ristretti fra la geopolitica statunitense e quella del Vaticano. Ben altra cosa è stato il tentativo mussoliniano, che si basava su una premessa fondamentale: l'indipendenza nazionale da perseguirsi con ogni mezzo. Di recente, in occasione della pubblicazione dei discorsi di Mussolini con "l'Espresso", il commentatore faceva notare che in quei discorsi non si notavano critiche alla Russia comunista mentre erano sempre presenti precise accuse al mondo anglosassone liberal-massonico. Lo stesso commentatore aggiungeva che il duce criticava la liberaldemocrazia perché è sempre stato socialista. La stessa RSI è la dimostrazione storicamente evidente (ma ancora non esattamente percepita) che lo Stato ideale per il duce era una repubblica che fondeva i princìpi fondamentali del socialismo con quelli del mazzinianesimo. Infatti il nome assegnatole, come ripeteva sempre Nicola Bombacci durante i suoi affollati comizi, era proprio quello scelto da Mazzini stesso. Ed alla fine il duce intendeva trasmettere proprio al Partito Socialista, che non aveva gli uomini capaci di gestirla, l'eredità del "suo" Stato. Carlo Silvestri, nel libro "Turati l'ha detto", pubblicato da Rizzoli nel 1947, trascrive la lettera che Mussolini gli fece scrivere, indirizzata ai dirigenti del PSI. Di questa è giusto riportare le primissime frasi.
«All'esecutivo del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Al Comitato Centrale. Compagni socialisti, Benito Mussolini mi ha chiamato e mi ha dettato (il 22 aprile 1945) questa dichiarazione che mi ha autorizzato a ripetervi: Poiché la successione è aperta in conseguenza dell'invasione anglo-americana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale Italiana ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi».

La revisione storica
Questi ultimi anni hanno visto una svolta epocale degli studi storici sul Fascismo.
Dopo De Felice l'approfondimento sui temi essenziali emersi con i documenti via via recuperati hanno permesso una conferma delle tesi defeliciane, nonché di tutti coloro che hanno seguito, fino ad oggi con linearità le direttive lasciate dal Fascismo Repubblicano.
Negli USA, una recente ricchissima ricerca di James Gregor, professore di Scienze Politiche alla Università della California, Berkeley, ("The search for Neofascism. The use and abuse of social science", Cambridge University Press, New York, 2006, pag. 306), ricostruisce sinteticamente, ma bibliograficamente completa, l'evoluzione del fascismo dalla nascita fino ai giorni nostri. Un lavoro simile era già stato fatto da Maurice Bardèche, che aveva preso in esame il regime di Nasser, quello di Castro ed altri, verso la fine degli anni sessanta. Quello di Gregor ne può essere considerato un proseguimento, perché arriva ad analizzare movimenti politici più recenti, come il Black Nationalism, con le figure di Marcus Garvey, leader dell'Universal Negro Improvement Association e di Elijah Muhammad del movimento Nation of Islam.
L'autore esamina anche l'influenza esercitata dal pensiero italiano nel Medio Oriente ed in India (con la chiara influenza di Mazzini sull'ideologo indiano Savarkar, già esaminata in una precedente opera dello stesso, pubblicata in Italia negli anni sessanta). Infine è molto interessante l'esame del Fascismo Cinese movimento politico che sta nascendo dopo il crollo dell'esperienza maoista.
Ma non è tutto. Lo scrittore Jonah Goldberg (!!!), giornalista del "Los Angeles Times" e del "National Review" nel suo recente libro dal titolo significativo: "Liberal Fascism", Penguin Book, pp. 488, 9,99 sterline, dichiara stentoreamente: «Tutto quello che sapete sul fascismo è sbagliato!».
Con questo libro che sta avendo successo nel mondo anglosassone e che speriamo di leggere presto in italiano, egli dimostra, prove alla mano, che il fascismo non è affatto un movimento di destra o, ancor peggio, reazionario, bensì uno dei più riusciti esperimenti della sinistra rivoluzionaria, figlio diretto di quella rivoluzione francese da cui trae origine tutto il pensiero di sinistra e progressista.
Tutta la politica del Ventennio deriva dai medesimi princìpi di giustizia sociale che hanno ispirato anche la rivoluzione bolscevica ed il "New Deal", ottenendo però risultati assai migliori.
Infine non potrebbe mancare la voce di Ernst Nolte, che invitato dall'Istituto Jacques Maritain per una tre giorni a Treviso sul "Concetto e realtà dei movimenti radicali di resistenza del XX e XXI secolo" ha dichiarato che Mussolini fu un marxista erudito che sapeva ciò che la maggioranza dei marxisti non sapeva. È stato il più importante marxista convertito al socialismo nazionale.

Conclusioni
Questo revisionismo in atto è doveroso e, a nostro parere, anche anticipato se si procede secondo i ritmi della storia che sono, disgraziatamente per l'umanità, molto lunghi. Basti pensare che solo oggi alla luce di ricerche e scoperte fondamentali è possibile una riflessione storica pacata sul cristianesimo. Eppure, ci vuole una minima intelligenza per capire che l'idea di fascismo come reazione non poteva che nascere dalla frustrazione dei movimenti antagonisti dopo la sconfitta degli anni venti. L'odio e l'istinto di rivalsa hanno obnubilato le coscienze, l'elaborazione concettuale di queste primitive forme di emozionalità scomposta è arrivata in un secondo tempo, con elucubrazioni farraginose (e basti pensare alla massa di opere, provenienti per lo più dagli USA, pubblicate negli anni sessanta che hanno costituito alcune fortune editoriali e provocato anche parte del '68, lette, se lette, frammentariamente, e finite inesorabilmente al macero).
Siamo comunque felici che possa definitivamente essere chiarito un grande equivoco, che ha falsato la storia nazionale per tutto il dopoguerra fino ad oggi, con l'identificazione tanto del MSI (fascismo in doppio petto), quanto dei gruppi della Destra Radicale (naziskin, etc.), con il movimento fascista che dimostra oggi una vitalità proprio dove meno lo immaginiamo.
Come previsto da Mussolini i quale aveva dichiarato che i suoi veri figli non saranno quelli che dicono di esserlo.
 

Giorgio Vitali